The Elephant Man di David Lynch di Emanuela Perozzi 2/3
Non era facile raccontare la storia di John Merrick (John Hurt) senza scivolare nel pietismo e nello stucchevole. Invece Lynch riesce a dar vita ad un melodramma "espressionistico" che dà risalto alle crudeltà volutamente esagerate che vengono perpetrate durante il film nei confronti di quest'uomo che tutto può sembrarci anziché tale, proprio perché viene trattato al pari di una bestia.
Dominato da una delicata trasfigurazione degli ambienti, circondato da figure sinistre e deformate che lo deridono, lo sbeffeggiano con acuto sadismo, lo ridicolizzano rendendolo una remunerativa attrazione circense, lo affrontano con espressioni che vanno dall'orrore alla insaziabile curiosità voyeristica, John Merrick è un giovane di appena ventuno anni, chiamato da tutti l'uomo-elefante, tremendamente e irreparabilmente segnato dalla nascita. Eppure le menomazioni peggiori che egli sente non sono quelle fisiche.
Tenuto in isolamento, quasi senza cibo e in condizioni ai limiti della sopravvivenza, il suo aguzzino è un uomo fragile e consumato dall'alcol che considera John come una creatura di sua appartenenza, di sua "invenzione". L'uomo dimostra un attaccamento morboso nei confronti del "suo bambino"; ma si tratta di un desiderio malato, proiezione della mente psicotica e disturbata di un uomo che ha bisogno di scaricare le sue frustrazioni e la sua disperazione muovendo inaudite violenze fisiche e morali sul più debole e, nel caso di John, totalmente indifeso.
Ma non sarà l'unico violentatore del film, ce ne saranno altri forse ancor peggiori.
Indimenticabile la sequenza in cui nella notte (territorio di minaccia e di inaspettato), la stanza dove John è stato accolto con amore e accettazione dal dr. Treves, si trasforma in una girandola infernale di guardoni, prostitute, derelitti di ogni genere che si scagliano con veemenza contro il diverso, l'emarginato, il mostro.
Ma cos'è questo piacere inconscio che anima il chiassoso spettacolo organizzato ai danni dell'uomo-elefante? Cosa si nasconde dietro la curiosità di guardare l'inguardabile, di spiare il deformante, l'inumano, il bestiale?
Qualcosa che va oltre il semplice voyeurismo, e che riflette piuttosto un bisogno di controllare, dominare e affermare, in tal modo, l'illusione di essere normali, di non essere come lui.
Il mostro e la paura di non riuscire a sostenere lo sguardo. Il mostro e la paura di divenire noi stessi vittime di quello sguardo.
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(articolo pubblicato il 31/03/2007)
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