Al & Al, come Capone diventò Pacino di Emanuela Perozzi 2/3
Per gli appassionati corrisponde infatti ad una nuova immersione in quegli anni in cui il leggendario Al Capone, a soli 30 anni di età, teneva in pugno mezza America. E dall'alto della sua posizione temuta, protetta e popolare, si poteva permettere di concedere interviste dal lussuoso ufficio dell'Hotel Lexington di Chicago e parlare di un Paese in decadenza, divorato dalle speculazioni finanziarie che la Grande Crisi aveva portato come conseguenza ultima di un sistema economico in ginocchio, e augurarsi per il bene della Nazione che giungesse un "Mussolini americano" a ristabilire agli occhi del mondo un "paese forte e coraggioso come l'Italia". E non di rado capitava che grandi nomi del giornalismo, nell'ascoltare le parole sicure e immorali del boss, ne rimanessero loro malgrado ammaliati e affascinati. Un talento da non poco. Non a caso, fu solo per una frode fiscale che le forze dell'ordine riuscirono ad incastrarlo mentre, già da anni, il giovane Alphonse Gabriel Capone si rendeva protagonista di una carriera continuamente in ascesa tra crimini e sangue. Temutissimo e incontrastato re di Chicago, Al Capone era in quegli anni il Pericolo Pubblico Numero Uno, colui che con la sua sfrontata immoralità si divincolava tra poliziotti, giornalisti, politici e magistrati ostentando una sicurezza pari alla sua arte di farsi rispettare. Servì una falsa dichiarazione dei redditi per mettere fine alla scomoda verità racchiusa nella parabola criminale di Capone. Degli undici anni di galera cui era stato condannato, ne scontò solo otto prima che la sifilide lo corrodesse portandolo alla morte nel 1947, a soli 48 anni.
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(articolo pubblicato il 15/04/2007)
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