Una tavola rotonda alternativa su un delicato tema di strategia internazionale di Anna Giuffrida 2/3
Il parterre è stato variegato.
Dopo un'introduzione concisa, Giancarlo Bosetti, direttore di Reset, ha ceduto la parola a un giovane analista iraniano del Crisis Group's Iran, Karim Sadjadpuor. È la voce dell'Iran. Un Iran sostanzialmente pacifista, come Sadjadpour ci tiene a sottolineare in più occasioni. Un pacifismo conseguenza di una natura molto meno antiamericana di quella del vicino Iraq.
Il timore di un attacco c'è. La necessità di evitarlo anche. La strategia ideale sta, probabilmente, nell'isolare, a Washington, i sostenitori del metodo "prima il bastone e poi la carota", nemici dichiarati di una legittimazione al dialogo in favore dell'Iran.
A seguirlo un intervento di Nicola Pedde, direttore del Globe Reasearch, che ha indicato un aspetto della politica iraniana in grado di influenzare l'andamento politico e la struttura mentale di una nazione: un vertice religioso al di sopra della politica, che rende il gruppo di comando eterogeneo.
La varietà che presiede il governo, se crea uno scontro di generazioni, ha allo stesso tempo come sfondo una capacità di convergenza. Scardinarla è difficile, oltre che nocivo.
A mettere l'evidenziatore su questa posizione ci pensa Renzo Guolo, docente dell'Università di Trieste. Se da un rilevante punto di vista societario l'Iran è uno dei paesi pronti per la democrazia, è anche vero che questo ambizioso obiettivo deve fare i conti con il ruolo degli organi religiosi, in disaccordo con il clero tradizionale.
In questo quadro assume un aspetto diverso anche la questione nucleare: la caratterizzano ragioni nazionalistiche, sulle quali punta il bellicoso presidente iraniano.
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(articolo pubblicato il 17/06/2006)
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