Festival della Filosofia a Roma. Tema: "Confini"    di Silvia Buffo    2/2

Molto interessante in questo senso è l'intervento del prof. Di Giacomo riguardo al rovesciamento nel tempo attuale di questo processo del passato, ossia del contrario sconfinamento della realtà in arte, in finzione: il riferimento va interamente all'11 settembre 2001. Un grande musicista Stockhausen definì l'evento la più grande opera d'arte del cosmo, non voleva assolutamente offendere la memoria dei morti, il compositore confonde arte e realtà. Le avanguardie del '900 dedicarono il loro intero sforzo al tentativo di assorbire tutta la realtà, ma non riuscirono mai a raggiungere questo scopo; al contrario dei terroristi, che invece, hanno assorbito tutta l'immaginazione, dando luogo ad eventi che non sono in grado di essere descritti, detti, ai quali non si può attribuire mai alcun senso. Questa caratteristica del non poter mai dare un senso ultimo sembra essere per alcune teorie estetiche la condizione per poter identificare un'opera d'arte, che risulta tale se non si lascia dire, se si configura attraverso gli elementi formali sempre nuova, diversa, non fornendo mai una comprensione definitiva.

Con l'11 settembre si assiste perfettamente a qualcosa che non si lascia dire: non sembra reale, sembra un film. E' un evento in cui la realtà si è capovolta in fantasia. Di Giacomo racconta: "Non si vedeva nulla, solo uomini e donne che si gettavano; si potevano vedere le scarpe che cadevano, persone morire davanti a noi. La morte è esposta. Le scarpe che cadono non hanno alcun significato come i mucchi di scarpe che cadono ad Auschwitz". Questo evento non si lascia dire, il reale è un incubo da cui bisogna svegliarsi, è un urto. La vita fa dimenticare della realtà, ad esempio ci si dimentica della morte, ma quando si viene in contatto con essa è incredibile, sembra irreale, sembra un'opera filmica, rocambolesca e spettacolare. L'evento dell'11 settembre 2001 segnala la rottura del confine che separa realtà e finzione.

<<<<<< indietro