In memoria di me di Emanuela Perozzi 3/3
Lungo la profonda navata dove si dispongono ordinate le porte che conducono agli alloggi dei novizi si sviluppa tutto il film e soprattutto il suo senso latente ed inafferrabile. Difficile non cogliere un simbolico dietro ogni porta che si apre sospettosa nel silenzio della notte fatta di passi e preghiere cadenzate, o dietro l'uomo curioso che ascolta irresoluto il rumore delle soglie che si aprono e si chiudono dietro agli sfuggenti universi spirituali dei suoi compagni. E' sempre di notte che per Andrea si dischiude la strada del dubbio, che si insinua pungente la lacerazione sul senso di quel suo trovarsi lì, ai confini del mondo, solo con se stesso. E mentre sul fondo della navata si intravedono i grandi traghetti che segnano gli arrivi e le partenze della vita reale, quella di cui Andrea non ha saputo sostenere il peso schiacciante, il film scava ancora nelle ferite dell'anima fino a lasciar intendere l'inafferrabilità della verità. Non ne esiste una assoluta, imprescindibile, universale. C'è la verità di chi sceglie di andarsene, ma anche quella di chi prova a rimanere, magari dopo aver pianto di fronte all'ammissione di non saper amare, di fingere, di non credere in niente. E ancora, c'è la posizione neutra del regista che si limita a consegnare le immagini di tante strade possibili, che si incontrano, si dividono, si liberano in un giudizio sospeso, si ritrovano nella riflessione di una difficoltà del vivere che è comune a tutti: a chi la fede ce l'ha e la vive con l'inevitabile tormento che richiede, e a chi non ce l'ha e cerca risposte solo da se stesso.
Film molto intenso che regala sequenze di grande impatto emotivo, soggettive che accarezzano la suggestione del sogno (come quella in cui Andrea e gli altri novizi dalla finestra guardano incantati una pioggia di fuochi d'artificio) e sguardi dai quali trapela la sensibilità di porsi continuamente domande e non sentirsi mai con la coscienza appagata. L'unico appunto può essere mosso nei confronti del modo in cui la sceneggiatura di Costanzo, ispirata al romanzo del 1960 di Furio Monicelli "Lacrime impure", insiste sugli accenti rigidi e compassati dei dialoghi, troppo dipendenti dal testo letterario, mentre una maggiore spontaneità avrebbe sicuramente reso più vivo il tormento interiore dei personaggi.
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(articolo pubblicato il 16/03/2007)
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