In memoria di me di Emanuela Perozzi 2/3
Al contrario, ogni elemento del film (dalla recitazione, tutta maschile, che alterna austerità e sofferta lacerazione, alle musiche, bellissime e puntuali, che scandiscono i passaggi degli stati d'animo) sembra accompagnarsi ad un ostinato senso di ricercatezza formale e ad un impegno rigoroso a non snaturare mai il suo più autentico significato. Della storia di Andrea (Cristo Jivkov), giovane in crisi esistenziale che approda nel monastero dei novizi per sottoporsi ad una serie di esercizi spirituali per l'avviamento al sacerdozio, viene dato risalto soprattutto al senso di inadeguatezza che non lo abbandona mai, all'espressione incerta che costantemente ce lo restituisce come un pesce fuor d'acqua. Non è chiaro il motivo per cui lui sia lì, o almeno sappiamo che è scappato da un mondo dal quale non trovava più risposte, sappiamo che vuole disperatamente diventare una "persona", ma in fondo rimane volutamente in penombra per lo spettatore, come per lo stesso Andrea, la motivazione reale, ovvero la presenza o meno di una vocazione, l'unica che spingerebbe a compiere un'azione così radicale come prendere i voti. E' proprio il senso di questa parola, vocazione, che viene costantemente messo in discussione, partendo dall'ambiguità di Andrea, ma spaziando poi verso direzioni nuove, esplorando i conflitti degli altri novizi, in particolare quelli del tormentato Fausto (Fausto Russo Alessi) e quelli del sovversivo Zanna (Filippo Timi), fino ad includere le parole del padre maestro (Marco Baliani), non sempre coerenti con l'espressione del suo credo, soprattutto quando si rivestono di quella "omertà" tipicamente cattolica che getta ombre sull'onestà di tutto il "sistema Chiesa" in quanto Istituzione.
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(articolo pubblicato il 16/03/2007)
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