Qualcuno volò sul nido del cuculo di Emanuela Perozzi 3/3
Aggrappandosi agli ultimi residui della sua tenacità, McMurphy non solo riuscirà a non soccombere di fronte alla repressione del sistema carcerale imposto dalla caposala dagli occhi di ghiaccio, ma coinvolgerà pian piano anche gli altri pazienti, attraverso gli unici mezzi che conosce: sensibilità e calore umano, entusiasmo e sana follia.
Il sorriso di Nicholson sembra essere infatti il sorriso di un meraviglioso e sanissimo "pazzo" che oppone la sua ricerca di libertà alla folle "normalità" del sistema psichiatrico americano.
Egli porta scompiglio e trasforma le sedute di psicoterapia in occasioni per deridere cinicamente la Ratched provocando finalmente nei pazienti quello spiraglio di vita che sarebbe dovuto arrivare dalla presunta terapia. Vediamo per la prima volta i pazienti come persone e non come vegetali; li vediamo finalmente ridere, sprigionare allegria e serenità anzichè la paura e la vergogna che leggevamo nei loro occhi durante le prime sedute condotte dalla donna.
Di contro, il manicomio porta ordine e risponde con la cieca onnipotenza dei medici nell'ostinarsi a trattare i pazienti come casi clinici, utilizzando terapie disumane come l'elettroschock e la lobotomia (asportazione di una parte di cervello!) col risultato di insinuare nella mente di individui, indubbiamente problematici ma non per questo emarginabili, pensieri di irrecuperabilità e impossibilità di un'esistenza dignitosa e normale.
La domanda di fondo che emerge dal film è quella che pone l'accento sul confine di demarcazione tra il mondo della normalità e quello della follia. Siamo proprio sicuri che all'interno del manicomio i veri pazzi siano i pazienti?
Nel finale Randle pagherà a caro prezzo la sua ingenuità: dopo aver tentato di strozzare la Ratched, credendo con tale gesto di poter davvero vincere contro la brutalità e la disumanità, verrà sottoposto a lobotomia e trasformato in una sorta di inerme automa.
L'ordine è ripristinato, tutto può tornare come prima. La vita del manicomio riprende la sua normale attività, come se niente fosse mai successo.
Ma forse non è finita…
Il gigantesco indiano finto-muto, con il quale Randle aveva stretto amicizia, non può sopportare di vedere il suo amico ridotto ad uno stato vegetativo e sceglie pietosamente di mettere fine alla sua vita soffocandolo con un cuscino. Sembra la fine di tutto, ma probabilmente è solo l'inizio. L'indiano non uccide Randle, bensì il Randle malato che è in ognuno di quei poveretti. E' solo dopo aver trovato la forza di eliminare la malattia, l'impotenza e la rassegnazione, che l'uomo riuscirà a riscattare l'amico e se stesso. La notte stessa rompe una vetrata e riesce ad evadere: può finalmente correre libero incontro alla guarigione, incontro alla vita, in un lieto fine che trova la sua realizzazione in una morte che si pone come l'inizio di una nuova vita.
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(articolo pubblicato il 30/04/2007)
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