Charlie Chaplin e l'immagine, cinque mesi di grande cinema a Bologna di Claudia Papaleo 2/2
In questo mondo di ferro, leve, bottoni e martelli, lui stava alla
fabbrica come l'ultimo della classe ai banchi di scuola che finisce sempre in
castigo dietro la lavagna. Solo questa volta non si trattava di far fare i
compiti a un monello, bensì di razionalizzare il Buffone del Cacciavite. Lui era
la rotella folle di un cervello perfettamente funzionante, colui che vi si
aggirava saltimbanco fallito, lavorando tra quelle ruote di metallo
concatenate come un meccanismo completamente brillo o un pupazzetto ad
orologeria che, andato in tilt, combina disastri senza che nessuno
riesca a fermare la sua farfalla del movimento. Così il giocattolo rotto viene
buttato nella cesta e noi ritroviamo Charlie Chaplin, stavolta dentro
un'ambulanza e disoccupato.
Passato l'esaurimento nervoso Charlot diventa il passatempo preferito
della Fortuna e di un Caso Imbroglione, che hanno deciso di divertirsi
giocando a guardia e ladri sulla sua storia agrodolce. Così, quando quel
Truffaldino riesce a farla alla Fortuna, il nostro barbone strampalato finisce
inseguito dalla polizia seppur innocente, per poi trovarsi quasi con un lavoro
quando la Fortuna riesce ad acciuffare il Furfante e a metterlo finalmente in
prigione. Sarà allora l'incontro con una fanciulla orfana ricercata
dalla giustizia: un brandello dei poveri che si aggira per le viuzze della
città, come una ballerina dei mendicanti danzante e birichina che ruba frutta
qua e un tozzo di pane là, decisa a non morire di fame. L'uno provvederà
all'altra, insieme sembreranno due gattini randagi innamorati che
cercano qualcosa da mangiare in un vecchio bidone e che si corrono incontro
felici di averla scampata anche questa volta, stringendosi per stare entrambi
sullo stesso pezzo di cartone. Il loro gioco preferito sarà una sorta di
"carnevale del salario", col quale anche una baracca stanca di stare su
e le stanze di un grande centro commerciale saranno mascherate da frammnenti
di una vita senza stenti, fatta di soffici letti e piatti fumanti sotto un
tetto senza crepe. Così, tra una maschera della felicità e l'altra,
Charlot sarà il pendolo dal frac malandato che oscilla tra occupazione e
disoccupazione e che inconsapevole farà di un reparto giocattoli uno
spicchio di circo, dove pattinerà col rischio di cader di sotto come un
equilibrista convinto di camminare ancora sulla terra invece che su un
filo.
Durante il suo spettacolo in un ristorante inventerà la pozione del
cabaret, cercando di versare gli ingredienti giusti alla sua improvvisazione che
si rivelerà un musical in miniatura per una ricetta di applausi. Purtroppo
egli sarà costretto a fuggir via con la sua orfanella perché entrambi
scovati dalla polizia, e con lei si troverà su una stradina con la fiducia,
riposta mano nella mano, che andando avanti il gioco della paga diventerà
realtà, mentre l'occhio dell'obiettivo comincia a sbadigliare chiudendosi su
loro due che si allontanano di spalle, affinché tutto questo arrivi fino a noi, come
la storia raccontata da un ingranaggio disoccupato con baffi e bombetta...
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(testo pubblicato il 30/04/2006)
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