Le buone promesse di Border town di Michela Monferrini 1/2
Nel mondo è ancora pressoché ignorato quel che accade da quattordici anni a Ciudad Juarez, al confine tra Messico e Usa (laddove dovrebbe essere costruita l'ennesima barriera tra uomini, dopo il fallimento del trattato che avrebbe dovuto diminuire il flusso migratorio verso il nord).
Dal 1993, a Juarez, essere donna vuol dire abitare in uno dei luoghi più pericolosi del pianeta, a prescindere dall'età: i resti dei cinquecento corpi (ma le vittime sono, presumibilmente, molte di più) finora ritrovati nei dintorni della cittadina, testimoniano l'orrenda fine che bambine e giovani donne subiscono, prima di essere uccise. Vengono stuprate, a volte per giorni, percosse, torturate e infine strangolate. I loro resti, perché di questo si tratta, sono gettati nel deserto, dove vanno i familiari, con lunghi bastoni, a cercare qualcosa che permetta loro di avere un nome, un'identità. In realtà, chi riesce ad avere questa conferma è un "privilegiato": i più non riceveranno alcuna notizia certa.
avanti >>>>>>
(articolo pubblicato il 15/04/2007)
|