Amores perros di Alejandro Gonzáles Iñarritu di Sabrina Fiorito 3/3
Illustrato due volte il tema dell'odio fraterno, dell'Abele e Caino: in Octavio e Ramiro, che si contendono la stessa donna; e nei due fratellastri Gustavo e Jorge, da uno dei quali El Chivo riceve commissione di uccidere l'altro, ma lascerà vivi per disprezzo della loro viltà.
Il finale del film non lascia scampo, un senso di impotenza verso il destino finisce per prevalere: Susana a Octavio: "Se vuoi far ridere Dio, raccontagli i tuoi progetti".
Il montaggio brutale, secco, forte, nelle scene crude di sangue dei cani uccisi o feriti nei combattimenti, così come nell'azione, fa gioco alla tecnica di regia spietata e diretta, come recita il messaggio di chiusura: "Siamo anche ciò che perdiamo". Ma il montaggio è usato soprattutto per manipolare il tempo, attraverso continui flashback, percorsi circolari: si parte dal momento dell'incidente, per raccontare dall'inizio tutta la storia, e arrivare a quel momento, secondo una struttura a cerchio che rimanda ancora al senso di irreversibilità.
Il tempo inoltre consuma e cambia i corpi, i volti, le anime: per questo la fotografia diventa una parentesi frequente importantissima: a El Chivo serve a cercare di ricostruire il suo passato proiettandolo nel presente (ritaglia la sua fototessera attaccandola sulla vecchia foto con la sua famiglia); è motivo di orgoglio prima e di disperazione poi per Valeria la sua foto nel manifesto pubblicitario, che guarda inerme sulla sua sedia a rotelle mentre lo smontano: non può più posare.
Rilevante la fotografia di Rodrigo Prieto, che punta sui forti contrasti tonali. Oltre alle ottime interpretazioni degli attori (Emilio Echevarría nel ruolo di El Chivo, Goya Toledo in quello di Valeria), il film vede al suo debutto cinematografico il giovane talentuoso Gael Garcia Barnel (nel ruolo di Octavio). Questo è il primo della trilogia realizzata da Iñarritu, a cui segue "21 Gramos" (2003) e "Babel" (2006).
<<<<<< indietro
(articolo pubblicato il 15/04/2007)
|