Notte Bianca 2007, Orfeo+Euridice: il mito, il volo e il sogno di Marilù Pirozzi 1/1
Notte Bianca 2007
Roma. Il titolo dello spettacolo ce lo annunciava, un sogno che ha tenuto saldamente attaccati la folla di passaggio in Piazza dei Cinquecento, mentre corpi di ballerini, anzi acrobati, si libravano in una scatola nera quale era il palcoscenico.
Orfeo, mitico e prodigioso cantore semidivino, capace con il suo canto di smuovere la natura, ancora una volta è riuscito a riproporre quel rapporto mimetico con il suo uditorio che, secondo quanto è tramandato, non poteva far a meno di seguire consapevolmente o inconsciamente il ritmo e le evoluzioni del suo canto con il corpo. Ancora una volta, in un tempo in cui i vecchi miti si perdono e nuovi si propongono, il tutto con una velocità eccezionale. Ancora una volta, a testimoniare che quello che conta, quello che tiene sospeso il fiato, quello che fa sentire cittadini di un mondo solo sognato, al di là di ogni apparenza, è la magia.
E se nel mito classico era il canto a fare di Orfeo l’eccezionale poeta della comprensione intima del mondo umano e naturale, ora la sua figura si libera di tutto ciò che lo lega a quel mondo, si riappropria della sua dimensione tutta trascendente e leggera grazie ad un volo privo di gravità che porta la firma di Emiliano Pellisari, già creatore di altrettanto spettacolari sogni scenografici come Comix, No gravity e Dai mon.
Cosa mai più di un sogno può lasciare tanto stupore, tanto dubbio serpeggiante tra una platea soddisfatta a prescindere dalla sua comprensione? Quando la luce si posa come una coltre dorata sulle figure nette dei ballerini; e staglia nel buio le evanescenze di un gioco sincronico di movimenti che scompone e ricompone forme sempre nuove; niente ha più importanza se non il lasciarsi assorbire da quell’armonia che “canta”, a suo modo, un amore infelice, la ricerca di ciò che di più caro si è perso nel mondo e oltre i suoi confini, la confusione di ciò che si può capire e di ciò che si deve accettare senza capirlo.
Senz’altro un sogno che abolisce il bisogno di parole, la certezza che vi siano limiti, sia spaziali, sia umani: i ballerini volano, in alto, in basso, a destra, a sinistra, e lo spazio che inizialmente sembrava ingabbiarli diventa nullo e costantemente “altro”, dimensione fluida come acqua che scorre ora negli occhi, ora nella mente di chi, meravigliato, osserva questa commistione artistica di mimo, danza e atletismo. Un sogno nella Notte Bianca della capitale, un sogno di miti antichi e trascolorati, un sogno di bellezze poetiche e artistiche eterne.
(articolo pubblicato il 15/09/2007)
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