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Intervista a Svenja Deininger    di Riccardo Mazzoni    1/1

[dal comunicato stampa]

Svenja Deininger nasce a Vienna nel 1974. Studia alla Kunstakademie Düsseldorf presso Albert Oehlen, vive e lavora a Vienna. Ci mostra il frutto di un lavoro nato durante il periodo della sua borsa di studio a Roma accordatale dal Ministero per gli Affari Esteri di Vienna. “I suoi lavori ruotano attorno ai concetti della rappresentazione spaziale e dell’identità. Segni distintivi del suo metodo pittorico sono i grandi formati spesso con figure a grandezza naturale e la sua professione del belli e della composizione come pure un’apperente oggettività costruita e inscenata“ (Colmar U.C.Schulte-Goltz M.A./Storico dell’arte e curatore). I quadri realizzati a Roma si articolano in due sezioni: da una parte quelli dei primi sguardi su Roma („e quanti sguardi ha un occhio durante la giornata?“- Heinrich Böll in “Roma a prima vista (1961)“, e dall’altro nella prosecuzione e nello sviluppo del lavoro sulla concezione spaziale. Nei suoi dipinti la Deininger sottolinea la bidimensionalità utilizzando superfici mescolate e disposte in maniera disordinata o affiancata che dominano e sconvolgono lo spettatore nei loro riferimenti reciproci.

In occasione della mostra dell'artista "Who made this hole?", organizzata dal Forum Austriaco di Cultura, abbiamo intervistato l'artista austriaca sul suo impatto con Roma e come esso abbia prodotto nuove idee, nuove riflessioni.

1. Come ha vissuto il suo periodo di borsa di studio a Roma? Quali difficoltà artistiche ha dovuto superare?

Avevo un contratto a tempo per venire Roma e sono venuta qui perché volevo continuare il mio lavoro sullo sviluppo degli spazi. Sempre ho riscontrato un influsso del posto/del tempo nel quale si vive, e per questo avevo una prima difficoltà: c'era troppo da visitare a Roma, soprattutto nella cultura antica. Per me era la prima volta che venivo a Roma e quindi ho cercato un punto di equilibrio tra l'antichità e le mostre/una scena dell'arte contemporanea. Inoltre ho studiato un po' l'italiano e tre mesi è un tempo molto corto e penso che ora comincia il lavoro del tempo passato a Roma.

2. Lei come definisce la sua rappresentazione spaziale?

E' sempre importante che lo spazio nel quadro non è chiaro e va all'infinità. Le cose realistiche nei miei quadri sono sempre ordinate in modo tale che il tutto diventa un ordine astratto.
Nel quadro mi interessa sempre un posto dove c'è uno vuoto accanto alla rappresentazione realistica e raccontata i quali rimandano possono rimandare ad un'immaginazione, od anche può essere completamente diverso, dove vi sono più percorsi per comprenderlo. Per esempio, il grande quadro che si chiama "L'esagerazione", dove si vede una mostra, si vede anche che la stanza dove c'è l'opera (WORK) è più importante del lavoro, anche se è inserito nel centro ma sembra come se l'esistesse. La parola "WORK" sembra più potente dell'opera stessa. Anche la parola va all'infinito, come il lavoro dell'arte alla fine della vita avrà un risultato. Inoltre, non c'e un pavimento, uno sfondo. Ritengo che sia un po' simile ad una sequenza di barocca, dove non si concentra mai all'idea ma la realizzazione è sempre più importante. Per me gli spazi vuoti lasciano un po' spazio libero per i pensieri, per le idee che potranno venire come un desiderio.

3. Nell'esposizione al Forum Austriaco di Roma, vi sono un insieme di quadri di piccole dimensioni. In esse cosa ha voluto rappresentare?

Questa mostra rappresenta solamente una parte del tempo, come una situazione allo studio dove si può vedere come funziona il mio lavoro, mostrando che il tutto è nato da input casuali. Comunque, le difficoltà erano così tante che ho dovuto trovare un punto di concentrazione nel quadro, e non racconto dieci storie in uno. Sempre faccio una distinzione tra il contenuto e il soggetto tra i piccoli quadri e quelli grandi. Un grande quadro include in sé uno spazio, i piccoli sono una idea, una frase: come una citazione.
In quelli piccoli racconto solo alcuni ricordi di Roma, delle cose che ho visto e forse ho inserito molto della mia visione soggettiva. Per esempio, il quadro che si chiama "La nuvola di Roma" rappresenta una fila dei motorini, dietro la quale si vede anche una fila di statuette, tutto sul fondo ha la struttura di un soffitto cassettato. È un ricordo di Roma; come H. Böll ha scritto, una storia dei piccoli momenti l'ha vista e notato per la prima volta a Roma.

4. Nei suoi quadri, vi è una mescolanza di immagini reali e sovrapposizioni di simboli od elementi non immediatamente inerenti al quadro. Sono segni di una riflessione, di un percorso che scende nell'inconscio, che sfiora anche l'onirico?

I segni, simboli...sono davvero segni di una riflessione e significano anche una esagerazione ironica, e meno un percorso che scende nell'inconscio. Vuole essere solamente una cosa misteriosa, che può darti la voglia di leggerlo.

(articolo pubblicato il 28/02/2007)

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