TuttoDante a Roma: risate fino alle lacrime di Michela Monferrini 1/1
Roberto Benigni, foto di Rodolfo Mazzoni
Roma. Finalmente il TuttoDante è arrivato anche a Roma, e anche a Roma, com’era prevedibile, ha stupito.
Scenografia semplice: onde blu su sfondo celeste, un leggio con la Divina Commedia, l’asta di un microfono, nient’altro. A un tratto la musica, la solita, quella che permette a Benigni di fare il suo ingresso saltellando da un punto all’altro del palco, sorridente, perennemente a braccia aperte, quasi a voler abbracciare tutto il pubblico. Pubblico già visibilmente emozionato di vederselo lì, a pochi metri, quell’uomo che in realtà sembra più un folletto, con la baldanza d’un bambino. E come quel folletto apre bocca, si ride.
Qualche considerazione sulle dimensioni del Teatro Tenda, perché “se questo è tenda, il Quirino è un sacco a pelo”, saluti al pubblico delle ultime file, cioè “gli amici di Frascati”, e a quelli delle primissime, “quelli che hanno un reddito da due, tre milioni di euro”, saluti a Fassino e consorte, seduti in prima fila.
E proprio da Fassino, Benigni dà il via a una prima ora di satira politica, prendendo di mira soprattutto l’opposizione, “per par condicio, perché per cinque anni abbiamo preso in giro il governo”. Ed è una satira che non risparmia nessuna –opoli, nessuno scandalo, nessun dibattito tra quelli che hanno diviso il paese negli ultimi mesi: da Vallettopoli allo scandalo di casa Savoia, da Calciopoli a Lapo Elkann, passando per i sedicenti brogli delle ultime elezioni nazionali, i “furbetti del quartierino”, il tormentone Materazzi –Zidane e molto altro.
Non ci sorprende che Benigni faccia ridere fino alle lacrime, né che lo faccia ad apertura dello spettacolo (si pensi a “La vita è bella” o a “La tigre e la neve”). Ed ecco dunque arrivare anche la parte emozionale, le lacrime vere. Prima della lettura, ci viene spiegato il canto V, il noto “canto di Paolo e Francesca”, il canto dell’amore. Arriva Dante. E vien quasi il dubbio che l’attore toscano altri non sia che la reincarnazione del poeta, perché la spiegazione del canto sembra la spiegazione di chi quelle parole le ha scritte. Finalmente apprendiamo quel che sempre avevamo sospettato, e cioè che Beatrice forse non è la Teologia, ma Beatrice in persona, lei e basta, così come forse Virgilio non è la Sapienza, ma il grande poeta che Dante ha realmente amato, e sentito come una guida negli anni della sua formazione. Una spiegazione, dunque, che ribalta tutto quello che ci avevano insegnato pedantemente, senza troppo convincerci.
Alla fine di questa lezione magistrale, Benigni prende il microfono e si allontana dal leggio, il testo non gli serve, il canto ce l’ha in testa, lo recita. E di volta in volta è Dante che chiede, Francesca che racconta, è Paolo che piange. E come Paolo, alla fine, piange. Il pubblico è in piedi e senza parole.
(articolo pubblicato il 16/05/2007)
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