“XXY”: uomo, donna, o semplicemente diversa? di Marilù Pirozzi 1/1
Lucia Puenzo, foto tratta dalla cartella stampa
Sulle coste dell’Uruguay una casa ben chiusa, un mondo serrato, popolato da pochi, solitari e schivi personaggi, regno di sentimenti sussurrati o, meglio, tenuti nascosti. La chiusura sotto le travi dell’impiantito della casa, dietro gli sguardi intensi e dolorosi, sotto la pesante coltre di un segreto inconfessabile. Chiusura che contrasta con l’immensità della natura che la circonda, con un mare grigio e blu, con le notti nere e battute da violente piogge, con la vastità di paesaggi solitari che sgomentano le anime di chi è già spaventato dall’idea di aver perso se stesso. O di non essersi mai trovato. Questo il preludio, queste le sensazioni che dominano lo sfondo del film vincitore del Gran Premio della Settimana della Critica, all’ultimo Festival di Cannes, “XXY”, scritto e diretto dall’argentina Lucìa Puenzo.
La storia, infatti, tratta dal racconto di Sergio Bizzio, è incentrata sulla scoperta della sessualità per un’adolescente, Alex, che deve fare i conti con un problema passato sotto silenzio e che ha costretto i suoi genitori a trasferirsi da Buenos Aires: Alex è una quindicenne “diversa”. Diversa perché è costretta a scontrarsi con i pregiudizi, diversa perché i suoi occhi blu celano la desolazione di una solitudine che non si può condividere, diversa perché le provoca dolore essere se stessa e nello stesso tempo vuole a tutti i costi esserlo. E alla fine chi è davvero? Una diversa perché, nonostante la sua giovane età, è costretta a soffrire. Questo vuole sottolineare la Puenzo nella scelta di un titolo fuorviante che si richiama alla sindrome di Klinefelter assente in realtà nel film. Alex è un’ “intersessuale”, un ermafrodito nel linguaggio del mito, non possiede quindi l’anomalia cromosomica di tale sindrome, ma proprio in questo sta la metafora del film: non si parla in maniera documentaristica di un caso clinico specifico, ma di sentimenti, di individui, di diversità, senza bisogno di diagnosi precise.
Con la forza delle sue paure e dei suoi dolorosi silenzi Alex riesce comunque a superare quel nichilismo che sembra caratterizzarla e a innamorarsi, a spingersi nel campo di quelle scelte difficili che si possono prendere unicamente da soli. Fortunatamente, però, lei non è sola perché la storia le ritaglia accanto le figure meravigliose dei genitori, pronti ad appoggiarla e a difenderla, e soprattutto del padre che ne ha rispettato la possibilità di decidere della sua vita sin dalla nascita, non sottoponendola alla “normalizzazione”. E di Alvaro, il ragazzo di cui si innamora, fragile adolescente che non trova conferme neppure nel padre, dal momento che questo non crede in lui e nel suo talento. Ma anche Alvaro è destinato a crescere e a scoprirsi, proprio grazie ad una “strana” come Alex.
“XXY” sin dall'inizio pone interrogativi ai quali rispondere non può non essere che una personalissima esperienza. Ma una certezza la crea: non esistono “normali” o “anormali”, esistono solo vite che vanno vissute nella loro indiscutibile bellezza.
(articolo pubblicato il 02/07/2007)
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