Un film denso e spinoso che illustra saggiamente le motivazioni di una violenza lontana dalla guerra ma altrettanto profonda e dolorosa

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Appello contro la violenza sulle donne, a cura di Amnesty International

Racconti da Stoccolma, di Anders Nilsson, sono tre affreschi di violenze che descrivono, con assoluta precisione, la realtà delle grandi metropoli del pianeta. Le tre storie, due sulle violenze alle donne e il terzo su quella terra di nessuno che circonda il divertimento nei locali, sono perfettamente esportabili a Milano, a Roma, a Shangai, a New York, a Città del Capo. Sono storie metropolitane, che si snodano lungo i percorsi di inserimento sociale degli immigrati, nelle mura domestiche di un'affermata giornalista di inchiesta, sui gradini di una discoteca tra buttafuori e delinquenti.

Gli elementi in comune nei vari contesti sono tanti: c'è l'attività di un soggetto che infrange alcune regole, dove il soggetto è la studentessa Leyla (Didoz Javidi), la giornalista Carina (Lia Boysen) e il gestore del locale Aram (Reuben Sallmander); una giustizia che è mediamente lenta nel risolvere i casi e nel garantire la protezione; il sistema giuridico offre garantismo indiscriminato; le regole infrante sono costruite e legate dal possesso del territorio e dall'invidia della libertà. Tutti questi elementi, intrecciarli, costruire la storia, scegliere gli opportuni personaggi ed attori: sceneggiatura e casting si sono rivelati eccellenti, dove la banalizzazione è assente e la via della salvezza consiste, per ogni personaggio, nella denuncia del fatto alla polizia ed inevitabilmente nell'abbandonare il luogo del misfatto, una sottile vittoria per la violenza.

L'analisi delle motivazioni dello scoppio della violenza privata sono il punto forte del film. Nel caso di Leyla, di famiglia mediorientale emigrata in Svezia e di religione cristiana, si assiste allo scontro tra la cultura consumista e progressista del paese ospitante, che sgretola dall'interno la famiglia. Di fronte allo scontro la reazione dei familiari maschi è di netta chiusura, fino ad inscenare un finto suicidio per liberarsi dal disonore. La tradizione e la paura di contaminarsi, che percorrono sempre la storia dell'uomo, permangono anche nel 2008. Per Carina si tratta della classica violenza domestica motivata dalla gelosia del marito verso il successo della moglie e perché, ustionato dal vedere da piccolo suo padre picchiare sua madre, ha ereditato che questo è il modo corretto di procedere nei rapporti famigliari. Perfetta l'introduzione del pettegolaio del posto di lavoro di Carina, dove i colleghi idioti malignano su una storia fatta di sofferenza, chiudendosi anche loro nell'indifferenza di non voler riconoscere una realtà innegabile.
Per Aram i regolamenti di conti nelle discoteche o in generale nei locali notturni spesso proseguono ben oltre la sola serata, investendo l'intera vita personale e professionale.

Passando al lato tecnico, la distribuzione in Italia è affidata alla Teodora Film, che sta dimostrando molto coraggio nelle scelte (ricordiamo Nelle tue mani di Peter Del Monte), ottima la fotografia, le inquadrature, tendenzialmente teatrali nella sottolineatura delle emozioni, del lato umano; estremamente veritiere le ricostruzioni dei viaggi della famiglia mediorientale in autostrada, l'atmosfera di viaggio da carovana che si sposta.