Dalla lezione sul Giornalismo investigativo e d’inchiesta di Marco Travaglio, ospite dell’Università di Napoli

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Napoli. Il 16 aprile scorso Marco Travaglio ha tenuto lezione sul Giornalismo investigativo e d'inchiesta all'interno del corso di laurea magistrale in comunicazione interculturale, dell’Università degli Studi di Napoli l'Orientale.

“In questo momento non è la controinformazione a mancare”, apre così il giornalista, “a mancare è la stessa informazione”. Travaglio lancia la prima critica alla scenario dell’informazione mediatica contemporanea accusando, prima di tutto, l’ampia schiera di giornalisti, suoi colleghi, che preferiscono, per quieto vivere, evitare le scomode inchieste perché, come egli stesso spiega: “non si sa mai cosa vai a scoprire”.

Fare giornalismo d’inchiesta significa documentarsi sulla base di fatti accertati per poi analizzarli ad una luce critica, traendone delle considerazioni prima di altri.
Un’inchiesta nasce dalla decisione di un giornale, quindi dall’editore, o di un giornalista. Prima di prendere tutto per vero, è necessario capire da chi è stata commissionata e se c’è un fine politico o/ed economico ulteriore, ad essa sotteso.
Se la risposta è sì, probabilmente, l’intento di quel giornale non è vendere bene o avere dei riconoscimenti positivi dai lettori. Diversamente, l’importante è che sia funzionale a quel politico, a quel partito, a quel gruppo imprenditoriale etc.

Ecco perché Travaglio preferisce fare una distinzione tra due diversi tipi di editore che, nello stesso tempo, definiscono anche la politica del giornale. L’editore può essere puro o impuro. L’editore puro è, in genere, il solo editore e si preoccupa “di fare bene il suo mestiere”. Nell’editore impuro, invece, l’impurità scaturisce dall’evidente o meno evidente conflitto d’interessi tra il fare giornalismo e l’appartenere a gruppi di banche o di aziende.

Il motivo per cui, in Italia, le inchieste scarseggiano, oltre che per il rischio di querele e denunce, è anche dovuto agli alti costi ed ai tempi lunghi che ne derivano e che non assicurano il risultato.

E, allora, paradossalmente, succede che le inchieste che riguardano situazioni italiane le fanno all’estero, dove c’è un approccio diverso al fare informazione e anche una diversa organizzazione e composizione dei giornali, forniti di bravi inchiestisti ed editori puri.

A dimostrazione di questo, Travaglio pone il caso del celebre articolo dell’Economist, pubblicato nel 2001, che titolava con “Why Berlusconi is unfit to lead Italy” (Perché Berlusconi non è adatto a guidare l’Italia), un servizio sulle vicine elezioni e sull’attuale Presidente del Consiglio, considerato inadeguato al ruolo per il quale si era candidato.

In Italia, si indispettirono quasi tutti. Per la Destra quest’articolo fu percepito come un chiaro attacco dalla sponda ideologica opposta. Tanto che, come ironizza Travaglio, “l’Economist diventò l’Ecomunist”. Infine, persino parte della stessa Sinistra si risentì di quest’intervento da parte del giornale straniero che metteva il naso negli "affari italici".

In realtà, i fatti su cui l’Economist aveva basato la sua inchiesta altri non erano se non quelli della cronaca giudiziaria che vedono Silvio Berlusconi come un pluripregiudicato e che, a detta del giornale, ha “sprecato la sua opportunità, usando tutto il capitale politico per proteggere i suoi interessi nei media e bloccare le azioni giudiziarie nei suoi confronti, ed è stato ondivago nelle riforme economiche”.

Niente di diffamatorio, dunque, nessuna invenzione, nessun tipo di offesa gratuita. Semplicemente lo specchio reale di quanto era avvenuto in quegli anni e che, forse, andava cautamente rimosso. Per la serie, “la verità fa male”?

A questo punto, Travaglio conclude il suo discorso sottolineando nuovamente la crisi dell’informazione e il difficile percorso verso la sua completa autonomia. “Politica e giornalismo sono due cose diverse” deciso, “eppure, di fronte alle critiche del giornalismo, la politica resta ancora stupefatta”.

E all’interrogativo posto dagli studenti sul futuro sua attività di giornalista, visto l’attuale assetto politico, risponde sarcastico: “ Berlusconi? No, non è una minaccia… ma una certezza!”