Eredità artistica e patriottica di un Risorgimento minore

pagina 1/1

“Assai prima dell’eredità maremmana di Diego, noi che figureremo compatti a Castiglioncello si iniziò un nuovo passo nell’arte che si chiamò la macchia… Cos’era la macchia? Era la solidità dei corpi di fronte alla luce. Tutto quello che esiste in natura e che oggi ne vediamo i buoni effetti espressi in qualunque sentimento artistico”.
Così si esprimeva Giovanni Fattori in una lettera del 14 Marzo 1901, quando oramai il movimento che aveva visto una sostanziale unità di intenti si era smembrato per seguire percorsi individuali. Ma chi erano i macchiaioli?

Alla metà del XIX secolo in Italia i fermenti rivoluzionari erano molto forti, e si susseguivano continui dibattiti sul futuro dell’Italia. Gli avventori del caffè Michelangelo di Firenze non facevano eccezione: è proprio fra questi che si viene a creare un nutrito gruppo di intellettuali ed artisti che, unitamente ad un forte spirito patriottico che porterà molti di loro ad ingrossare le fila dei garibaldini, darà inizio all’esperienza della “macchia”. Parliamo di Telemaco Signorini, Serafino De Tivoli, Vito D’Ancona, Giovanni Fattori, Raffaello Senesi, Vincenzo Cabianca, Odoardo Borrani, Giuseppe Abbati, Silvestro Lega.
Come già detto questi artisti, profondamente calati nel loro tempo, prendono le mosse non solo da caratteri stilistici innovativi della pittura (non è estranea al gruppo l’esperienza francese della scuola di Barbizon e del realismo di Courbet), ma anche dallo studio e dalla ripresa di caratteristiche formali già presenti nella pittura rinascimentale fiorentina di Giorgione e Tiziano, dai quali viene la tecnica della Macchia intesa come grande zona di colore sulla cui base sovrapporre poi i diversi strati di pittura.

Altro discorso da fare è sul genere di soggetti rappresentati: in controtendenza con l’arte contemporanea, orientata ad un romanticismo e ad un pathos talvolta mistificati, le scene di vita quotidiana della gente semplice, rese con assoluta fedeltà al vero e lontane dall’esaltazione eroica proprie della pittura “ufficiale” uniscono in una combinazione unica lo studio della natura e della luce con lo studio della “gente”, colta nel lato più popolare e genuino del lavoro e della vita semplice. Nella prima fase del percorso artistico dei macchiaioli è il trionfo della luce che domina e costruisce tutte le opere, indistintamente dall’autore: la dimensione ridotta dei quadri rende poi ancora più evidente la tecnica delle “macchie” senza per questo togliere nulla alla nitidezza della rappresentazione.

In questa straordinaria unità e fusione di tecnica e concetto sono illuminanti le parole scritte da Proudhon, a proposito di Courbet, e citate nel percorso espositivo: “L’artista non è fatto per rendere un’idea universale del paesaggio o dell’uomo, bensì per esprimere un’idea, o una forma che generalmente è quella del proprio paese e dei propri contemporanei”. E allora si susseguono i paesaggi della Toscana, e del lavoro nei campi, e delle pasture, tutte immagini abbacinanti di luce che fanno quasi sentire il calore del sole a chi li guarda da vicino. Ma la passione che anima gli artisti li porta a militare per gli ideali in cui credono: molti di loro infatti non sopravviveranno al periodo tormentato che attraversa l’Italia, e a partire dalla seconda metà dell’Ottocento i reduci si trovano a confrontarsi con le frustrazioni dovute al fallimento dei moti rivoluzionari e al duro ritorno alla realtà. Il sodalizio che tanti artisti aveva unito necessariamente si scioglie, e lascia il posto a percorsi individuali di ricerca. Una è però la caratteristica che si ritrova in tutti: Quella luce abbagliante che tanta parte aveva avuto nella produzione precedente si spegne quasi del tutto, per lasciare il posto a tinte scure, a scarsi contrasti cromatici, ad un cielo nuvoloso e compatto. Come se l’animo turbato avesse avuto il sopravvento sullo studio della luce. Una mostra allestita con cura che – è proprio il caso di dirlo – fa piena luce su un periodo artistico e storico che solitamente passa in sordina ma che tanta parte ha avuto nello sviluppo dell’Italia intellettuale ed artistica e dell’Europa. Al Chiostro del Bramante fino al 3 febbraio 2008.