Intervista all'artista Formica, autore della mostra “Germinazioni progressive”

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Roma. Le opere esposte nei giorni scorsi all’interno dell’ex Chiesa di Santa Marta rappresentano un’arte di nicchia. Un’arte contemporanea orgogliosa delle sue, a volte, umili origini. E Formica, autore della mostra “Germinazioni progressive”, attraverso una nuova corrente artistica, la Geo Arte, si fa portavoce di una decisa condanna sociale. Contro le alienazioni e omologazioni del moderno uomo tecnologico.

Per farlo lancia una “slow art”, che spinga l’uomo a riappropriarsi delle sue origini. Attraverso anche un attento studio delle tradizioni dei popoli della sua terra d’origine, il Sannio. Esempio significativo è la scultura lignea “Uomo humus”, simbolo del fecondo rapporto uomo-natura. E che, come tutte le opere, l’autore plasma e dinamizza con l’uso di materiali semplici, dal solido legno alla viva argilla. Le sue opere come sguardo sul mondo, fatto con un cannocchiale rovesciato.

C’è un nesso con la scelta di Formica, come nome d’arte?

“Il mio paese di provenienza si chiama Formicola ed ha per stemma una formica che risale una spiga di grano. Lei va, prende il chicco di grano e lo porta nella sua tana. Ecco, è proprio il senso di questo insetto laborioso che ho voluto portare anche nelle mie opere”.

Su cosa si fonda questo rivoluzionario approccio artistico e culturale della Geo Arte?

“Si tratta di una nuova corrente di pensiero che va dalla scultura all’architettura, dalla musica al teatro. Una filosofia che interviene sulla vita in due modi. Prima con una metamorfosi della realtà, trasformandone la forma e il pensiero che la caratterizza. E in un secondo momento, con la frammentazione del pensiero e della forma, intesa come un atto temporaneo, un’immaginazione volta a provocare il “vuoto”. Non nel senso di privazione, negazione. Ma un vuoto necessario alla germinazione di ogni cosa. Ciò è possibile riscoprendo la bellezza della spiritualità delle cose umili, delle cose insolite rispetto ai diffusi parametri di riferimento sul mondo e sulle cose”.

Cosa intende realizzare il dialogo tra uomo, natura e società tecnologizzata?

“Una rivoluzione culturale che conduca ad un nuovo modo di essere e di vivere. Non quello in cui viviamo oggi, in cui l’uomo è schiavo della macchina. È lacerato e solo. Prima seguiva sempre le forze della natura, ma negli ultimi 150 anni l’unico rapporto tra lui e il luogo è lo sfruttamento. L’uomo si sta automatizzando: dopo aver meccanizzato tutto, si è fatto alienare dalla macchina. Provocando anche gravi problemi ambientali. Solo riqualificando il suo rapporto con l’ambiente e gli altri uomini, l’uomo ritroverà l’indispensabile equilibrio con se stesso e ciò che lo circonda”.