Ma non c'è mai spazio in TV per i grandi contesti internazionali?

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Non ne hanno parlato negli anni Novanta, non ne hanno parlato alle soglie del nuovo millennio, continuano a non parlarne adesso, nonostante i gravi rivolgimenti che hanno preceduto e stanno seguendo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, avvenuta lo scorso 17 febbraio, su approvazione del Parlamento di Pristina.
Ancora un conflitto invisibile, ancora un’enorme disinformazione (o più probabilmente una non-informazione), ancora una realtà nascosta ai più dai soliti pochi, ancora un senso di inconsistenza e impalpabilità dei fatti accaduti.

Quella del Kosovo appare come una delle tante guerre fantasma, destinata all’oblio del tempo, una guerra a intermittenza in cui soltanto ciò che è mediaticamente appetibile diventa reale. Tutto il resto non ha alcuna importanza.
Eventi sporadici vengono occasionalmente portati alla luce dai notiziari televisivi che si limitano a dare qualche cifra (il numero di morti qua.. il numero di soldati là..), qualche nome, qualche luogo e, poi, passano, in fretta, ad altro.

Eppure, oggi, il Kosovo è al centro di aspre polemiche e accesi dibattiti internazionali. Soprattutto, è la sua immagine, ora di “crocevia del Male”, ora di “nuovo mito”, a restare centrale eppure sfocata.
Ma, allora, in tutto questo, dove sono i mass media? Che fanno mentre accade ciò che è davvero importante? Se non alla sana informazione, a chi o cosa devono dar conto?

La televisione-intrattenimento può essere criticabile per la qualità del format ideato o per la tipologia di contenuti leggeri proposti al pubblico ma, in essa, la componente dell’entertainment è primaria rispetto al resto e, pertanto, risultano comprensibili alcune scelte commerciali e/o di mercato.
Altro è, invece, la tv-informazione che dovrebbe privilegiare la notizia in sé e non la sua spettacolarizzazione. “Privilegiare la notizia in sé” significa che non ci dovrebbe essere altro fine nell’informazione che quello di mettere al corrente chi guarda e ascolta di quanto succede nel mondo, a prescindere da qualsiasi giudizio di valore.
Questo, tuttavia, pur nella sua banalità concettuale, resta un approccio concretamente irrealizzabile in Italia (e non solo): troppi interessi e troppo business sono da sempre alla base del funzionamento dei nostri media.

Fatti, opinioni e credenze sono tre elementi che rischiano di essere continuamente fusi e confusi tra loro. Ciò che rappresenta il fatto diventa opinione e l’opinione viene resa diffusa credenza. Ecco il meccanismo perverso dei mezzi di informazione contemporanei: far passare il relativo per assoluto e far vedere una faccia per tutte quante le altre, rendendo un punto di vista, l’unico punto di vista possibile.
E’ per questi motivi che, ad oggi, poco può la verità di fronte all’egemonia del temibile quarto potere.