Docufiction di Canale 5: inchiesta o voyeurismo? di Michela Monferrini 1/1
Qualche giorno fa Canale 5 ha mandato in onda la prima docu-fiction italiana, scegliendo come argomento per il debutto la strage di Erba.
Il genere, che negli altri paesi � gi� ampiamente collaudato, consiste, come spiega il nome stesso, nello sceneggiare un noto caso di cronaca, restando per� fedeli alla realt�, seguendo alla lettera verbali e atti giudiziari (laddove ve ne siano). Non solo gli ambienti vengono ricostruiti alla perfezione e gli attori nella maggior parte dei casi sembrano dei sosia, ma subito dopo la fine del filmato (della durata di un'ora buona) parte il dibattito, condotto da uno tra i pi� professionali giornalisti italiani.
Inquirenti, parenti, conoscenti sono in studio per rispondere, nei limiti del possibile, alle domande sul caso e per giurare che i fatti si sono svolti esattamente cos�, qualora qualcuno se lo fosse chiesto.
Ma l'unica domanda legittima forse �: cosa aggiunge tutto questo a quel che gi� � stato detto e che soltanto qualche mese fa sembrava gi� troppo, davanti alla morte, incancellabile, di tre donne e un bambino? Davvero dovevamo (volevamo) sapere cosa si erano detti Rosa Bazzi e Olindo Romano, i coniugi che hanno compiuto il massacro, quando in cella gli hanno permesso d'incontrarsi per qualche minuto, dopo giorni di interrogatorio? E davvero questo interrogatorio doveva essere sviscerato, reso pubblico, dato in pasto alla gente? Ora sappiamo come sono avvenuti gi omicidi, lo sappiamo tecnicamente, precisamente. A quanto pare tutto pu� essere detto, anche se in prima serata, anche se non siamo nella fascia notturna che, teoricamente, dovrebbe evitare l'ascolto ai bambini.
L'affermatissimo giornalista ormai avr� il merito di aver lanciato il genere in Italia, e forse avr� raggiunto l'ennesimo record di ascolti, ma l'avr� fatto giocando sull'escalation di voyeurismo che dilaga nei consumatori televisivi e probabilmente, senza esagerazioni, nella societ� intera, vetrinizzando una volta in pi� la morte, rendendola spettacolare e commercializzabile, giocando sulla speranza ottusa dello spettatore medio di poterla esorcizzare.
(articolo pubblicato il 02/07/2007)
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