La Festa del Cinema di Roma ricorda il principe della risata

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Roma. Non solo star hollywoodiane, red carpet, prime internazionali, party di lusso. La Festa del Cinema di Roma, giunta alla sua seconda edizione, ha rappresentato soprattutto l’occasione per celebrare alcuni grandi maestri di casa nostra. È stata l’occasione per avere una grande lezione di cinema dalle parole di Bertolucci, per esempio. O per vedere la copia restaurata de “La rabbia”, una delle opere più intense di Pier Paolo Pasolini. O ancora, per ricordare quello che, ancora oggi, viene considerato ovunque il più grande comico italiano di sempre: Totò.

Il 23 ottobre è stato presentato al pubblico “Un principe chiamato Totò”, documentario realizzato con la collaborazione della Siae e grazie al grande lavoro di ricerca e documentazione condotto dalla figlia e dalla nipote dell’attore, Liliana e Diana de Curtis. La proiezione è stata anticipata dai ringraziamenti di Lucio Dalla per la stessa Liliana (che gli ha permesso di musicare e interpretare nel documentario un’intensa canzone inedita di suo padre, “Principessa”) e dai divertenti aneddoti raccontati da Renzo Arbore, che hanno, ancora una volta, messo in luce la straordinaria generosità del Totò uomo. E proprio il Totò uomo, Antonio de Curtis, è il protagonista di questo documentario fatto di interviste, provini, oggetti, testimonianze di amici, ma anche lettere d’amore, poesie e fotografie, tutto comunque inedito, mostrato al pubblico per la prima volta. Antonio de Curtis spiegava in una vecchia intervista realizzata nella sua casa romana, che un altro uomo, un altro “essere”, abitava quelle stanze, costretto a mangiare da solo in cucina ad ore impensabili e ad uscire allo scoperto solo quando il sipario s’alzava, o quando scattava il ciak. Quest’altro uomo, chiamato semplicemente Totò, e con questo nome conosciuto e amato da tutti, era capace soltanto di ridere e far ridere, laddove lui invece, pur nell’immenso amore che nutriva per la vita, si trovava ad essere spesso triste e malinconico, costretto, anche per alcuni noti episodi della sua vita, a fare i conti non di rado con una sofferenza tutta interiore.

Il documentario corre lungo questo doppio binario, e alle migliori gag di Totò (immancabile la scena del treno in “Totò a colori”) vengono alternate le parole delle due mogli di Antonio de Curtis, di Eduardo, che dopo la sua morte lo ricordò come l’amico che lo aspettava nel camerino per tornare a casa insieme la sera, dopo lo spettacolo, ma non prima d’avergli fatto qualche scherzo, o ancora della figlia, che racconta l’unico ceffone ricevuto da suo padre, durante una delle tante vacanze a Ischia e Capri, dove seduto nel giardino di casa sua inforcava un binocolo per ammirare, giù in strada, il sedere delle ragazze, ma anche per seguire gli spostamenti di lei adolescente.

Dopo il documentario, intenso e sorprendente per chi pensava che di Totò fosse stato detto tutto, è stato proiettato il filmato “Radiototò, teletotò”: panoramica, realizzata grazie all’archivio Rai, su apparizioni televisive, quiz, pubblicità, brani di varietà (che spesso erano costituiti a partire da vecchie gag del teatro di rivista) di un Totò già affermato, alle prese con i nuovi media. Una sorta di collage che mostra come il comico, ormai famoso, non snobbasse il cinema, o la televisione, per il teatro, ma cercasse sempre di mettersi alla prova, di confrontarsi con un pubblico che inevitabilmente cambiava e chiedeva cose diverse, per poi riconoscersi, di volta in volta, vincitore di quelle nuove sfide.