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© Shooting Silvio
la storia di come un vincolo può trasformarsi in un'opportunità
Shooting Silvio   di Daniela Graziano

E' in un piccolo ed accogliente appartamento nel cuore di Trastevere, a Roma, che incontro Berardo Carboni, regista di Shooting Silvio. Con lui c'è Simone, collaboratore della regia e socio instancabile che aiuta Berardo a mettere a punto tutti i dettagli della pre-produzione del film: ormai manca poco, ai primi di novembre inizieranno le riprese, tutto deve essere pronto accuratamente. Ho letto molte cose sul loro film e sulla loro originale forma di mettere assieme i soldi per realizzarlo. Niente produttori sciacalli in mezzo, niente soldi ministeriali, pratiche, burocrazia e raccomandazioni. Perché Shooting non è un film facile, parla di mass-media, del nostro Presidente del Consiglio, della sua morte per mano di uno studente infervorato dalla Tv. Chi avrebbe finanziato un film del genere senza strumentalizzarlo? Ho una profonda curiosità di ascoltare Berardo: un altro regista si sarebbe dato per vinto, avrebbe gettato la spugna di fronte ad una situazione dal risultato matematicamente negativo, oppure sarebbe sceso a compromessi, straziato la sceneggiatura, tagliato parti compromettenti : insomma, avrebbe fatto un film a metà. Berardo invece sembra un tipo ostinato, uno che crede in quello che fa, che la vita la prende di petto, con il dovuto pragmatismo e, perché no, con una gran dose di ottimismo. Così, seguendo la corrente filosofica di chi non aspetta miracoli per risolvere i problemi, Berardo sfrutta una situazione statica, snervante e negativa per dar vita ad una operazione mediatica a grande scala, per farsi ascoltare in tutto il paese. Organizza feste, vende gadget, coinvolge produttori e gente comune a comprare quote del suo film. Nel giro di poco tempo tutti parlano di lui, molti lo seguono e Shooting Silvio diventa un film realizzabile, che in molti vogliono vedere; trasformandosi anche, contemporaneamente, in una nuova realtà da cui trarre un esempio. Magari nel prossimo futuro Shooting rappresenterà una delle pietre miliari di una nuova corrente cinematografica, di un nuovo modo di fare e soprattutto produrre film. Per il momento è sicuramente un caso interessante di cinema indipendente che dovrebbe far riflettere in molti. Per questo ho deciso di seguire l'evoluzione di Shooting Silvio, in primo luogo per dare il mio contributo ad un film che anch'io voglio vedere ed in secondo luogo per capire se veramente esiste una scappatoia ad una situazione produttiva estremamente problematica e per niente stimolante come quella italiana. Inizierò parlando con Berardo della sua esperienza personale, di Shooting Silvio e del cinema in generale, di come lo vede e di come vorrebbe che fosse uno dei pochi registi italiani che hanno sconvolto le regole del gioco. E poi, tra poco, sul set, a parlare con la gente, a seguire le riprese in prima linea.


Mi piacerebbe partire dall'inizio, sapere qualcosa di te, su come sei approdato alla regia.

Ho iniziato a fare il regista per gioco a 17 anni; ho incominciato con dei cortometraggi autoprodotti, a basso budget e realizzati in situazioni veramente estreme: ricordo che io e la gente che lavorava con me costruivamo le scenografie in grossi capannoni che riuscivamo a farci prestare durante la notte. Lavoravamo sempre con una logica di favore e molto amatoriale; quelli erano gli anni di inizio dell'era digitale (alcuni dei miei corti li ho realizzati in VHS) e non c'era molta gente che si dilettava a fare cinema, per questo nella provincia di Pescara se chiedevi una mano a qualcuno tutti erano disposti ad aiutarti, anche perché quando fai cinema crei un meccanismo di sogni - quindi tutti tendono a darti una mano, è come se stessi regalando alle persone una favola per un giorno. Questa favola fa in modo che le persone escano dalle loro vite normali e per un attimo siano contente. Così ho realizzato tre cortometraggi con budget da circa un milione di lire. Poi ho fatto un documentario piuttosto importante e in questo caso sono riuscito a ricevere degli aiuti economici dall'Università di Pescara e dalla Regione Abruzzo. Il documentario è la storia di Federico Caffè, economista scomparso. Ho preso spunto dalla sua scomparsa per parlare del suo pensiero politico: Caffè era un keynesiano in un momento storico in cui trionfava il neoliberismo. Il documentario lo abbiamo realizzato in tre e per noi è stata un esperienza che ha avuto un gran peso nelle nostre vite perché pur essendo giovanissimi siamo riusciti ad intervistare persone molto importanti, come il Presidente della Repubblica Ciampi, che allora era il Ministro del Tesoro. Ricordo che quell'intervista è stata un'esperienza anche molto divertente perché noi eravamo solo dei ragazzini, avevamo circa ventidue anni, però tutti ci chiamavano con l'appellativo di Dottore o Professore perché pensavano che il documentario fosse una cosa un po' più ufficiale. In ogni caso, quando lo abbiamo terminato, il documentario ha avuto un buon risultato soprattutto ai Festival. Nel frattempo io ho continuato a studiare e mi sono laureato in Legge ed attualmente sto portando avanti, con grosse difficoltà, il dottorato di ricerca in Problemi civilistici della persona che grosso modo tratta dei diritti umani affrontati da un punto di vista del diritto civile. Mentre mi stavo laureando ho iniziato una collaborazione con l'artista Lara Favaretto, con cui ho realizzato come aiutoregista dei video artistici che hanno vinto dei premi molto importanti come il Furla. Lara, come artista contemporanea, sta avendo moltissimo successo : quest'anno ha vinto la Biennale di Venezia Giovani, e per la mia formazione questa collaborazione è stata molto importante.

Così arriva il primo film: 'Buco nell'acqua'. Come nasce l'idea di questo film?

Sempre con Lara ho realizzato come aiutoregista un film, prodotto da una casa di produzione che in quegli anni era particolarmente attiva nella ricerca di lavori alternativi: la Kubla khan. Il film, che s'intitolava Buco nell'acqua e che contava sulla partecipazione di Sandra Milo, era un opera a basso budget, girato a Cuba. Per me è stata un'esperienza fantastica, anche perché Sandra ci ha dimostrato una disponibilità straordinaria e ci ha insegnato molto. Da un altro punto di vista però devo riconoscere che è stata un'esperienza un po' castrante perché il film è stato preacquistato da Mediaset e su di esso sono state fatte delle operazioni di montaggio da noi non previste. Il cuore del problema è stato questo: il film doveva essere la storia della reale sparizione di Sandra Milo. L'idea era quella di creare un presupposto mediatico per catalizzare l'attenzione del pubblico su questa finta scomparsa. Per questo il film era composto da parti di fiction, cose che avevamo stabilito da copione, e parti di documentario. Chiaramente, la trovata era al limite della legalità, quindi, nonostante fosse un'operazione supermediatica Mediaset ha avuto paura di cadere in beghe legali e si è tirata indietro. Poi sono sorti anche dei problemi personali tra la gente che ha gestito questa operazione, che io non ho gestito affatto perché mi occupavo del film solo da un punto di vista artistico, cosa che non ho potuto fare nemmeno fino in fondo: ad un certo punto abbiamo avuto una serie di blocchi dal produttore che a sua volta li aveva avuti da Mediaset, senza che però noi avessimo un legame diretto con quest'ultima. E' attraverso questo film che mi sono formato, perché si trattava di un film a tutti gli effetti, girato con una troupe che aveva il doppio dei miei anni e della mia esperienza. Buco nell'acqua mi ha cambiato la vita e ha permesso a me e a Lara di portare avanti un iter artistico e di sviluppare una certo modo di fare le cose. Abbiamo lavorato come pazzi per poterlo realizzare, però alla fine siamo riusciti a concludere un lavoro veramente ben fatto. Inoltre, attraverso questa esperienza, ho imparato quello che si deve e quello che non si deve fare durante la realizzazione di un film: la cosa sicuramente da non fare è quella di affidarsi totalmente alle produzioni, per quanto esse siano liberali, perché poi, soprattutto se uno non ha delle grandi credenziali come regista, subentrano problemi di plagio, in modo particolare quando si girano film che parlano dei media, dove facilmente si rischiano di cambiare le carte in tavola.

E di media palra Shooting Silvio. Il progetto è sicuramente singolare e i vecchi sistemi di produzione e finanziamenti pubblici non vanno bene...

Quando ho scritto la prima versione di Shooting avevo un accordo con il produttore Massa ma poi non se n'è fatto più niente perché lui ha iniziato a dire 'cambiamo questo e cambiamo quest'altro'. Così io gli ho detto che volevo fare il film come dicevo io. Massa millantava il fatto che se si fossero fatti i cambiamenti da lui voluti avrebbe trovato i soldi per produrlo ma io non volevo fare il film in quel modo per cui ho lasciato perdere. Così ho trovato un altro produttore, Pier Francesco Aiello, che mi ha dato 15.000 euro e mi ha portato a Cannes per trovare altri soldi. A Cannes io e Simone, abbiamo fatto cose pazzesche per trovare finanziamenti per il film, per esempio abbiamo letteralmente sfondato la porta di un albergo per parlare con un produttore francese indicatoci da Pier Francesco. Infatti a Cannes c'è un mercato cinematografico ma i produttori più importanti non sono lì ma vengono alloggiati in suite d'albergo dove ricevono privatamente i loro clienti. Noi, approfittando delle card che ci aveva procurato Pier Francesco, dovevamo solo trovare il modo per entrare nell'edificio. Così abbiamo sfondato una porta antincendio e siamo andati dal produttore francese che, dopo aver avuto una reazione di sorpresa nei riguardi di Shooting, ci ha detto di essere disposto a darci i finanziamenti nel giro di sole 24 ore, e questo per farti capire la differenza tra i produttori italiani e quelli stranieri. Lui e Pier Francesco avevano raggiunto un accordo di coproduzione di 4 miliardi circa. Però per concludere l'accordo bisognava anticipare da parte di entrambi i paesi coinvolti 200 mila euro circa. Pier Francesco allora non se l'è sentita, un po' per differenza di metodi lavorativi e un po' perché il produttore francese molto probabilmente sarebbe riuscito a recuperare i soldi da fondi ministeriali, cosa che Pier Francesco sapeva di non poter fare per due ragioni: i fondi in Italia sono bloccati, Shooting Silvio non è un film che si presta ad una produzione tradizionale. Così un po' per queste ragioni un po' per la lentezza produttiva di Pier Francesco, che allora era coinvolto anche in altri lavori, esasperato verso agosto mi sono posto sul serio il problema di trovare i soldi. Così ho incominciato seriamente a pensare ad una soluzione diversa, cioè a trovare un modo alternativo per recuperare i soldi e mi è venuto in mente che quando ero piccolo avevo organizzato un cineforum a Pescara, città dove poca gente va a vedere film d'essai. In quell'epoca, per attirare persone, avevo organizzato un cineclub dove non solo si vedevano film ma si ballava, si preparavano feste e si ci divertiva assieme; ricordo che c'erano delle occasioni in cui c'era un sacco di gente. Io mi sono divertito un sacco e penso di aver fatto delle cose veramente notevoli per avere solo 16 anni e zero budget. Sono persino riuscito a far entrare il nostro cineclub nella direzione dei cineclub d'Italia, dove ci sono solo cineclub storici. Tutto questo è stato possibile grazie alle feste che ci permettevano di avere fondi. E così che sono arrivato alla conclusione di recuperare il metodo delle feste per mettere insieme i soldi per Shooting. Chiaramente non aveva senso per me organizzare queste feste solo a Pescara così ho pianificato un'operazione su scala nazionale con l'aiuto di Simone, che è il mio collaboratore della regia e che mi ha messo in contatto con Tonia, una ragazza molto esperta nella gestione di feste. Ho calcolato una media di 20 feste ma poi mi sono reso conto che tra queste non tutte sarebbero andate bene, quindi per racimolare i soldi ci sarebbero volute almeno 50 feste per un totale di due anni di sole feste: questo mi è sembrato un po' improbabile e lungo da realizzare, troppo complicato. Dopo la prima festa però, che è andata molto bene e ci ha permesso di mettere assieme circa 10.000 euro, ci siamo resi conto che avevamo avuto un incredibile ritorno d'immagine. E così che ho capito che un articolo in prima pagina di un giornale ha un valore illimitato e che per questo, più che racimolare soldi con le feste dovevamo approfittare di queste per fare casino, per mettere in piedi un'operazione mediatica. Al giorno d'oggi noi abbiamo un film che vale 100.000 euro ma che ha ricevuto una campagna mediatica che ha un valore incalcolabile. Per ottenere più visibilità, al di là del guadagno dovevo concentrarmi sull'organizzazione di feste che fossero dei simboli, fatte in posti simbolo e con ospiti che attirassero l'attenzione dei media. Il problema budget delle feste era stato già risolto con la prima festa. Così siamo andati a fare feste al Brancaleone, alla Pergola, all'Hiroshima Mon Amour. Abbiamo anche fatto bene ad andare come ospiti alla Festa della Liberazione nazionale: anche se il film non pretende di avere nessun contenuto politico e ben che mai vicino all'ideologia di rifondazione, noi abbiamo scelto questo posto perché realmente libero, dove non ci sono i soliti mostri. E' stato spettacolare stare vicino agli stand di Emergency e di Amnesty International e questo ci ha portato una grande visibilità.

E' questo il significato dell'operazione mediatica di Shooting Silvio, sortire effetti di diverso genere: trovare i soldi ed acquisire credibilità? Quali sono i vantaggi che hai tratto da questa operazione?

Grazie agli articoli che sono stati scritti su di noi ed al nostro sito siamo riusciti più facilmente a trovare degli investitori. Il nostro è un film rischioso come del resto tutti i film indipendenti ma grazie alla campagna mediatica ha molte più probabilità di farcela. Noi possiamo al giorno d'oggi contare su un cast di attori famosi e su di una troupe di professionisti che hanno deciso di lavorare completamente gratis per noi e questa è una garanzia sulla qualità del film per gli investitori. I film indipendenti come questo si sono sempre fatti, però si facevano con un gruppo di amici che mettevano 20.000 euro a testa e così si girava il film. Qui invece stiamo parlando di un'operazione su scala nazionale, che non rimane nell'ambito di un gruppo di amici né per quello che riguarda la comunicazione né per ciò che riguarda la selezione del casting. Tra l'altro noi i soldi non li avevamo quindi l'unica soluzione per fare il film era seguire questa strada, che sembra sia andata bene. Io inoltre ho cercato di rendere la cosa il più professionale possibile : quindi da un lato ci sono i soldi delle feste e dall'altro i soldi delle quote di partecipazione acquistate da veri e propri produttori, ossia da gente che fa cinema nella vita.

Non sono mai sorti problemi tra i produttori che hanno finanziato Shooting?

Chiaramente tra i vari produttori sono sorti conflitti però la condizione di partenza è quella che noi avessimo la quota di maggioranza delle azioni produttive ed il controllo di tutto il progetto, sia da un punto di vista artistico che della gestione del prodotto commerciale. I produttori possono proporci delle cose, possono consigliarci se prendere delle decisioni o meno, ma alla fine saremo noi a decidere perché Shooting è un film che facilmente si presta a manipolazioni ; voglio dire a Medusa potrebbe venire in mente di distribuire il film, magari per farci bella figura visto che nel film si ammazza il Presidente del Consiglio e si parla male di lui, quindi potrebbe essere un operazione da buona campagna elettorale. Io non so, nel caso in cui Medusa mi dicesse che lo distribuiscono in 400 sale d'Italia, cosa farei, non so se accetterei o meno ; però di una cosa sono sicuro, voglio poter deciderlo io. Magari se il film esce veramente bene preferirei che uscisse in più sale e non nelle parrocchie - ma voglio deciderlo io, e soprattutto dopo averlo portato a termine.

Visto che hai toccato l'argomento, anche per quanto riguarda la distribuzione del film state studiando un operazione?

Per la distribuzione ci stiamo pensando ed io sto cercando di pressare la gente in questo campo più professionale di me a battere il ferro finché è caldo, perché per ottenere un'altra volta tanto successo mediatico dovremmo vincere a Cannes. Per questo secondo me vale la pena andare a parlare con un distributore e chiudere anche un accordo che ci porti pochi soldi, ma che ci garantisca un'uscita grande. Ma qui ci scontriamo purtroppo anche con una certa inefficienza dei produttori ed un loro modo di fare un po' vecchio quindi io vorrei preoccuparmi personalmente della distribuzione e visto che ancora non l' ho fatto vorrei mantenere più ipotesi aperte. Abbiamo anche dei contatti internazionali con la stampa, con il produttore francese di cui ti parlavo, con uno spagnolo - quindi anche all'estero. Io penso che abbiamo grandi possibilità se troviamo una persona capace di seguire questo tipo genere di accordi. Il problema della distribuzione c'è perché al momento io non mi posso occupare di questo e la gente che lavora con me ha una priorità, che è quella di fare il film. Io cerco di coprire tutti i buchi, sto pensando a come risolvere il problema della distribuzione ma non ritengo indispensabile farlo adesso, anche perché non voglio svendere il film e sto pensando ad altre ipotesi di distribuzione che pur dando meno visibilità sono più coraggiose e più originali, come per esempio le unioni dei circoli del cinema o l'Arci, come nel caso de Il Vangelo Secondo Precario. Però so anche che queste sale funzionano e non funzionano, cioè a volte proiettano in dvd… Chiaramente non è come andare al Warner Village e chiaramente, quando lo vedono più persone un film "è più film"; inoltre non vorrei incappare nell'errore che ho cercato di evitare sin dall'inizio, cioè di rimanere in noi stessi. Per questo ci siamo aperti ad una operazione nazionale, perché non dobbiamo fare un film per noi, non dobbiamo vederlo solo noi, dobbiamo fare un film bello, un superfilm con attori bravi e uno staff bravo, dobbiamo cercare di competere con i grandi - è difficilissimo però credo che noi abbiamo le carte in regola per farlo.

Riguardo al cinema italiano in generale, a cosa pensi sia dovuta la grossa crisi che sta attraversando negli ultimi tempi ? Pensi che ci sia un problema tra produzione e distribuzione - voglio dire, il motivo per cui si fanno i film e non si distribuiscono nelle sale ha qualcosa a che vedere con la scarsa congiunzione tra questi due momenti nel nostro paese?

I film italiani hanno una serie di problemi di partenza perché sono brutti, sono brutte le sceneggiature, vengono fatti male, nelle opere prime e seconde si guadagna mentre si gira, i registi per lo più sono degli esordienti che non hanno nessuna esperienza e vengono messi a lavorare con dei mercenari, magari anche bravi ma mercenari a tutti gli effetti, perché sin dal primo momento sanno che il film non uscirà mai o uscirà solo in due sale e quindi non gliene frega niente e lavorano male. Il regista non riesce a gestire la troupe perché non viene messo nella situazione di poterla gestire, cioè non lavora con i suoi abituali collaboratori, lavora con gente che ha 40 anni di più, che non gliene frega niente, e quindi… In più c'è un problema di sceneggiature che vengono scelte male… Questo è un grosso capitolo sul quale parleremo in un altro momento… i film italiani sono brutti, per di più ci sono solo quelle sale che normalmente vengono gestite da grandi colossi stranieri che devono distribuire i loro film, quindi per i film italiani piccoli e brutti non c'è più nemmeno uno spazio...

(articolo pubblicato il 04/11/2005)