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Una Parigi malinconica ma estremamente affascinante. Questo l’obiettivo del regista e sceneggiatore Cédric Klapisch, che dopo “L’appartamento spagnolo” e “Bambole russe” trascina lo spettatore davanti all’innegabile fascino parigino.

Come ci ha abituati il regista, predilige i film corali ed anche in questa occasione segue le vicende di vite differenti tra loro, ma che alla fine si incrociano nel quotidiano: un ballerino del Moulin Rouge gravemente ammalato di cuore, la sorella assistente sociale che si prende cura di lui, del suo morale e dei suoi tre figli rendendosi protettiva ed affettuosa, la dirimpettaia sensuale e giovane e le sue storie parallele tra cui quella intrapresa con uno dei suoi Professori universitari della Sorbona in preda ad una crisi di mezza età. Il ballerino inquieto, protagonista del film, osserva le vite degli altri dalla finestra della sua camera in attesa della chiamata per il rischioso trapianto di cuore e fa da collante tra tutte queste vicende, o almeno ci prova. Fino alla fine del film infatti non è ben chiaro il legame che intercorre tra le varie storie, molto diverse tra loro, e quella triste e cruda del protagonista che va incontro alla morte. Dal film emergono ritratti diversi appunto: la semplicità della vita e dei rapporti di tutti i giorni, il dolore dell’attesa quasi imminente della morte, il ritrovarsi con gli amici di una vita, il razzismo nell’era della globalizzazione. Proprio per questo tutto è confuso, gli snodi narrativi non risultano efficienti.

La regia è pulita, chiara, semplice, ma proprio per la confusione narrativa non risulta efficace per il film. L’intento della pellicola è mostrare una Parigi dai mille volti, armonica tra passato, presente e futuro. Tentativo che vuole in qualche modo ricordare i grandi registi francesi, ormai scomparsi. Klapisch avrebbe potuto sfruttare la bellezza della ville lumiere per tentare di colmare i vuoti a cui invece va incontro. Il film nel complesso, è piacevole grazie alla buona direzione degli attori e alla loro interpretazione. I 130 minuti scorrono a tempo di pellicola, non dilatano maggiormente la permanenza in sala. Non c’è una vera e propria trama se non il voler raccontare i mille volti di una città affascinante e maledetta come Parigi. Troppi i clichè a cui ricorre senza giustificazioni plausibili. Per ora “l’appartamento spagnolo” è secondo personale giudizio, il film piu’ riuscito di questo regista.