Film interessante, anarchico, elegante con tanti attori non professionisti assolutamente bravi

pagina 1/1

Roma. Al Politecnico Fandango si è proiettata il 30 marzo la crisi economica, una società occidentale che si scoute di fronte a nuovi valori morali, un sogno recondito in ognuno di noi che, almeno in un film, si avvera: l'avventura anarchica e comica di Louise e Michel, nell'omonimo film diretto da Benoit Delépine e Gustave Kervern, presenta allo spettatore tanti spunti di riflessione, da quelli etici a quelli economici, dalla fotografia alla tecnica di ripresa.

Trama semplice: un'azienda tessile francese chiude, forse per delocalizzazione. Le operaie vogliono pensare ad un futuro. E Louise (Yolande Moreau), un'operaia loro collega, ha una pensata: vendichiamoci, ammazziamo il capo. Le danno il placet e trova l'assassino, Michel (Bouli Lanners), una ex-ragazza imbottita di ormoni per farla diventare uomo, squattrinata e squallida. Alla fine, dopo aver rincorso diversi "capi" in giro per il mondo -per il solito problema della società inscatolate in altre società- arrivando in un paradiso fiscale, sede fisica del vero capo, che verrà ucciso. Infine, lieto fine: la coppia avrà un figlio.

Cosa insegna il film? Innanzi tutto il profondo senso di ingiustizia che regna dopo una chiusura di una fabbrica senza preavviso, con molte, troppe famiglie senza un futuro, visto che nel frattempo il costo della vita è salito e il meccanismo di approvigionamento passa necessariamente da supermercati o ipermercati, con molti intermediari che fanno aumentare il prezzo dei beni. Il lavoro come senso della propria vita: in questo si sente un trapasso forte dall'alienazione che comporta il lavoro in fabbrica ad un concetto di fornire un senso alla propria vita, che passa maggiormente nel lavoro, nella necessità umana di rendere conto delle proprie capacità e di vederle in opera.
L'insanabile voglia di togliere al capo quel privilegio, spesso fondato sull'ingiustizia, di poter decidere della vita, ma anche della morte, dei propri dipendenti, di poterli considerare cosa propria: argomento forse antico quanto il mondo, ma nel senso anarchico espresso dai registi provoca l'effetto di corrompere e dissestare l'organizzazione di valori che regola la vita economica e lavorativa, assumendo un senso internazionale.
Molto interessante, nella sua semplicità, la qualità delle riprese: inquadrature spesso ampie e molto descrittive, quadri in movimento, senza alcun ossequio ad una visione monumentale delle riprese e dell'immagine. In tutti questi aspetti, il film prodotto da Mathieu Kassovitz stimola maggiormente la mente alla riflessione rispetto alla sua semplice ed immediata ironia nera.