Una parte della critica lo considera un genio, dall'altra c'è chi, invece, cerca di "spaventarlo" (probabilmente a causa della sua giovinezza)
Si attende con trepidazione e non delude. Il regista spagnolo Pedro Almodóvar torna sul grande schermo con "Volver". Tre generazioni femminili interpretate da un casting accuratamente selezionato a conferma del talento di un regista che ha saputo fare del cinema contemporaneo un luogo di espressione e denuncia sociale. I labili confini tra la vita e la morte contornano il dettagliato ritratto della vita quotidiana vestita dei costumi della Spagna del sud, spesso troppo simile alla nostra cultura meridionale dove è la ripetitività dei riti della tradizione e non il reale sentimento a mettere in scena il melodramma della vita umana. Il rito della morte con i suoi ritmi lenti: la veglia, il funerale e la venerazione della tomba si contrappongono alla freddezza di un omicidio, la rapidità del gesto, l'occultazione del corpo e la facilità con cui si impara a non ricordare. Ma in un climax crescente, come in ogni buon film di Almodóvar, vengono a galla i ricordi e le verità e così il lato più umano di ogni suo personaggio. Ancora una volta eccezionale l'interpretazione di Penélope Cruz, che dopo il successo di "Non ti Muovere", si perfeziona nel tópos della donna vestita degli umili panni della quotidianità, e con abilità interpretativa lascia affiorare il suo lirismo anche dietro i neri lineamenti di un trucco troppo marcato.
(articolo pubblicato il 02/06/2006) |