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Cannes. Alla sessantunesima edizione del Festival di Cannes trionfa il cinema italiano con la doppietta Garrone-Sorrentino. I film Gomorra e Il divo, conquistano rispettivamente il grand prix e il premio della giuria, e ci riportano al lontano 1972, quando la Palma d’oro fu divisa tra Il caso Mattei di Francesco Rosi e La classe operaia va in paradiso di Elio Petri. Ma lo scenario cinematografico italiano in cui si inseriscono queste due nuove pellicole è completamente diverso, film come I nuovi mostri, Un borghese piccolo piccolo, Per grazia ricevuta, capolavori degli anni settanta dei grandi maestri Alberto Sordi e Nino Manfredi, risultano piuttosto distanti dalle proposte di oggi, neppure lontanamente paragonabili a lavori come Notte prima degli esami, Tre metri sopra il cielo, e in generale una quantità spropositata di film generazionali adatti ad adolescenti, impazziti per divi come Riccardo Scamarcio e Silvio Muccino. È naturale quindi che due film come Gomorra e Il divo risultino una novità estrema, quasi una provocazione, ma sicuramente possono essere considerati come l’avvio del tanto atteso e invocato risveglio del cinema italiano. E non importa se le statistiche ci dicono che sono centinaia le pellicole italiane prodotte tra il 2006-2007, se poi ci accorgiamo che nessun paese straniero le compra, e la media d’età degli spettatori è tra i quattordici e i vent’anni, ciò che ci interessa è la qualità dei film, ma quelli veri, quelli che portano sullo schermo la vita del nostro paese, quelli che ci fanno riflettere, così come si presentano i lavori di Garrone e Sorrentino. La dura e crudele realtà napoletana manovrata dalla camorra, “il sistema” che ci ha raccontato Roberto Saviano nel suo romanzo shock Gomorra, da cui il film è tratto, e ancora, la storia politica italiana degli ultimi quarant’anni così come l’ha vissuta il politico per eccellenza Giulio Andreotti, protagonista de Il divo. Superflue quindi le polemiche nate per la partecipazione dei due registi a Cannes, a causa della brutta immagine che potrebbero dare del “Belpaese” in un contesto internazionale, polemiche che tanto ci ricordano gli anni del neorealismo, quando film come Ladri di biciclette facevano gridare allo scandalo i benpensanti italiani. E allora non possiamo non congratularci con i due registi, per il loro impegno e per la qualità del lavoro, che già avevamo apprezzato nelle prove precedenti, L’imbalsamatore di Garrone e Le conseguenze dell’amore di Sorrentino, solo per fare un esempio, fanno ormai parte di quei film di nicchia del cinema italiano, pellicole apprezzate dagli amanti del genere, e che da un angolo conquistato all’interno della storia del cinema, magari non per l’esorbitante successo di incassi, tentano di realizzare quella rinascita cinematografica che solo con registi di qualità potrà compiersi nei prossimi anni.