La popolare comica torna sul grande schermo con una riflessione sociale matura

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Questa volta Sabina Guzzanti propone l'idea politica non più come logica circoscritta, ma in quanto parte di un discorso (sempre di reazione al potere) più aperto, riflessivo, lasciato volutamente in sospeso. Con una prospettiva distesa rispetto al precedente "Viva Zapatero" e tempi molto più diluiti, la narrativa qui si sviluppa a partire da una situazione di base spassionata, allegra e a volte un po' "psicosomatica"...

In un intreccio ben riuscito (il film è sceneggiato dalla regista, ma improvvisato da tutti) si incastrano due temi guida: da un lato, l'idea del rincontro, nella prospettiva di uno spettacolo dal vivo nel paesino sardo "Su pallosu", di Sabina con i colleghi Pier Francesco Loche, Cinzia Leone, Francesca Reggiani, Stefano Masciarelli, Antonello Fassari: dopo quindici anni dall'esperienza dello storico programma tv "Avanzi", si rivedono col proposito di esibirsi ancora insieme; dall'altro lato, la struttura del racconto è come un backstage - immagini colte dal di fuori, nel contesto reale della preparazione spettacolo - scandita da un montaggio sempre attento al dietro le quinte, e rafforzata dalla massiccia presenza in campo sia della regista dello spettacolo, che del direttore di produzione con la troupe tecnica.

Tutto parte dall'idea di fare uno spettacolo per convergere l'attenzione delle autorità locali e della gente sul problema della pesca dell'aragosta, che spopolandosi rischia di mettere in difficoltà il futuro di molti pescatori. Fa da avvisaglia del problema l'ex operaio Fiat e sindacalista Gianni Usai: la sua è una storia di rivolta in fabbrica: licenziatosi prima che la Fiat lo mandasse in cassa integrazione come migliaia di suoi colleghi, ora fa il pescatore di aragoste. La sua figura emblema di un pezzo di storia italiana attira l'attenzione della regista, che ne prende spunto per ripercorrere gli anni '80 della crisi Fiat, attraverso la memoria storica di Usai (mentre Masciarelli imita il Presidente Agnelli); ma anche gli anni '90 di Tangentopoli, a cui ripensa Fassari: "Avanzi" nasce in quel periodo come programma libero da qualunque appartenenza politica, senza controlli di parte, proprio per la noncuranza dei partiti.

Alle sensazioni riscontrate nel pubblico del primo "Viva Zapatero", al senso di impotenza di fronte alla situazione da cambiare, Sabina ha trovato giusto rispondere affrontando il tema dal punto di partenza opposto, cioè cercare di capire come vincere la paura che precede la messa in atto di una qualsiasi iniziativa volta a favorire il cambiamento.

La pellicola esamina quindi, attraverso l'esperimento di gruppo, la realizzazione di un'idea nel suo concreto: ci si sprona tramite la forza dell'aggregazione, la fiducia reciproca non prima della fiducia in sé stessi; i protagonisti cercano di vincere le esitazioni, ragionando su quali sono le motivazioni che le causano. Forte è l'interiorizzazione, il passato visto dal dentro a livello personale: Cinzia Leone si commuove rivedendo le sue imitazioni della Dellera, prima della convalescenza dovuta a un incidente. Tutti loro si scoprono cambiati dall'esperienza degli anni prima, e si trovano fragili e dubbiosi di fronte al confronto col passato; nella seconda metà del film l'auto-riflessione sfocia in una pressione molto forte: man mano che si avvicina il momento del sipario, cresce l'insicurezza: chi prima chi dopo manifesta crisi da pre-esibizione, più o meno superate subito dopo..

Dirompente la comicità dei protagonisti che con la stessa schiettezza fanno ridere e commuovere...una imitazione per tutti: la mitica Moana Pozzi di Sabina Guzzanti.

Distribuito dall'Istituto Luce e presentato fuori concorso alla 64a Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Venice Days - Giornate degli Autori, ha ottenuto il premio Brian dall'Unione degli atei, per la laicità e la libertà di parola marcate nel film, raccogliendo dieci minuti di applausi del pubblico.