Giorgio Albertazzi in scena, foto stampa

Giorgio Albertazzi in scena, foto stampa

Roma. Memorie di Adriano nel cortile di Alessandro VI in Castel Sant’Angelo: un posto raccolto ed unico, tipicamente romano, con Giorgio Albertazzi autorevole e consolidata voce narrante dell’imperatore romano.
In scena ieri ed anche oggi, è tratto dal famoso libro di Marguerite Yourcenar, si stimano 30 milioni di copie vendute all’epoca, che rimane attuale ancora oggi. Il regista Maurizio Scaparro, presente durante la rappresentazione, ha indicato nelle note di regia l’aspetto politico, come se fosse scritto oggi. Non solo legato ai recenti fatti della Grecia ma allo scontro di civiltà che sembra sia in atto, dove le parole di Adriano rappresentano uno spirito apollineo taumaturgico.

Tali premesse hanno portato al tutto esaurito, dove terminata la lunga e storica fase di andare a teatro per modificare la realtà, decifrarla, interrogarsi e rivoluzionarla, si assiste all’implementazione dell’analisi lineare e profonda di Pier Paolo Pasolini. Alla domanda: quale fosse il motivo che lo portava a scrivere, rispose che era esistenziale, per la naturale necessità umana di esprimersi.

Tale necessità sembra sovrapporsi alla struttura del caso: non esiste una volontà o un progetto immanente nella realtà e nelle azioni umane, bensì si collegano spontaneamente o casualmente fatti che, presi isolatamente sono assoluti, aggregati diventano relativi perché comprensibili solo in un limitato contesto.

Sembra essere questa l’idea che ha guidato l’attore, intervistato a fine spettacolo:

Rimango stupito ogni volta che la vedo sul palcoscenico: mi chiedo cosa mi potrà dire di nuovo ancora Giorgio Albertazzi, dopo tanti anni di esperienza. E glielo domando: cosa la spinge ogni volta a salire sul palco, oltre al naturale motivo di esprimersi?

Credo nella vita. Non c’è un altro modo, non è una cosa staccata da te. Il teatro è un’arte: certo, esistono anche persone per le quali è una professione e dicono: alla sera alle otto stacco la spina. Dove? Quale spina? Tu sei quello continuamente, è la tua vita quella lì. E’ sfida, succedono cose che non posso rivelare al pubblico, accadono dentro di me prima di salire in scena e ti forniscono quel più uno nella vita. E questa è la mia vita, non esistono due anime staccate.

Per quanto riguarda il testo recitato, come sappiamo è straordinario. Se volesse sintetizzarlo come se fosse una brevissima lezione, cosa direbbe?

E’ un testo sulla morte che coincide con l’amore. Esiste anche un aspetto di voler conciliare la cultura greca con quella romana che ad Adriano è riuscito, un momento straordinario. Oggi nessuno riesce a raggiungere tale obiettivo. Lui era riuscito a creare un Commonwealth: un architetto ma anche un politico di grandissima levatura. Non assatanato ma avente un concetto greco della politica, alla Protagora.

Per quanto riguarda il messaggio politico, è ancora attuale il testo?

Sembra scritto oggi. Forse non è neanche giusto definirlo politico. E’ come averlo letto ieri sul giornale, è un grande testo. C’è una materia così viva, c’è qualcosa di estremamente erotico, nel senso profondo del termine e cioé la vita. E però la parentela con la morte, simboleggiata dalla fine della bellezza. E non c’è un altro senso alla vita se non la bellezza. In senso lato, largo, la bellezza è difficilmente descrivibile in senso assoluto ma è paragonabile a quella di un bambino, di un cucciolo. Se lo porti con te sulla scena contagi il mondo, anche se poi non si traduce in una immediata azione politica diretta perché il vero teatro e la vera arte fa domande, non dà risposte. Picasso non ha mai dato una risposta, ha sempre domandato.