Gli interrogativi esistenziali sono senza data di scadenza. Valgono oggi come ieri ed Alabama Monroe, il nuovo film in uscita l’8 Maggio nelle sale italiane, non fa eccezione. Una storia d’amore con dubbi di scelta: che fare di fronte alla morte della propria figlia di tumore? Come reagire? Si può essere stoici? Vale la pena ricacciare giù in gola il dolore? Questi sono solo una parte degli interrogativi e delle analisi disseminate durante la visione. E’ un film complesso, ricco, carico, europeo: un vero film, con tempi cinematografici, non televisivi. In un’epoca come la nostra di semplificazione del messaggio, Alabama Monroe lo complica nella versione più vicina alla decostruzione di Derrida. Possibile che tutto sia semplice, a due dimensioni? Banale, vissuto nel virtuale? La storia d’amore tra Elise e Didier intreccia un contesto complesso, dove le sole parole non bastano a descriverlo. E’ opportuno allora sottolineare tramite un’analisi estetica i momenti salienti, rimandando alla visione del film l’intero insieme di emozioni.
Elise (Veerle Baetens, con questo ruolo ha vinto il Premio Miglior Attrice agli EFA) gestisce uno studio di tatuaggi, sua grande passione. Ogni tatuaggio accompagna il suo cuore e le sue emozioni, in aggiunta come in rimozione. Didier (Johan Heldenbergh) è da sempre innamorato dell’America, che identifica come la terra delle infinite opportunità. Paese per sognatori ma, soprattutto, patria della sua amatissima musica bluegrass, che interpreta suonando il banjo in un gruppo musicale. Solo questo dettaglio apre il dibattito sulla serietà di tale atteggiamento: una visione troppo semplice della vita, obiettivi troppo scarsi per dare un peso alla vita? Le risposte variano a seconda della propria esperienza.
Infatti il regista Felix Van Groeningen pone il quesito, fornendo la sua risposta: ognuno è libero di vivere come crede, senza arrecare danno agli altri. Una visione molto nordica, protestante. Ma anche un amletico dubbio: questa vita così distante dalla lotta per la sopravvivenza cittadina, dalla follia del mondo del lavoro attuale, è una fuga dalla realtà oppure un’analisi più semplice ma efficace, vivere come Adamo ed Eva nell’Eden non sarebbe più felice?
E’ una critica alla società consumistica, basta poco per vivere sereni: come i primitivi, caccia, raccolta, disegni rupestri che soddisfano l’esigenza artistica umana. Questo l’aspetto strutturale, mentre per quello sovrastrutturale irrompe Maybelle, la loro figlia. Morirà di tumore, tale evento produrrà effetti devastanti sulla coppia. In questo non si può non notare un’analisi e sviluppo dell’intreccio alla Balzac, con un compiacimento nella verifica dell’evoluzione della reazione chimica. Nella ricostruzione molto accurata degli ambienti ospedalieri e delle tecniche in essa usate, si nota come l’avanzamento della medicina non comporti comunque l’abitudine a drammi di questo tipo: rompere l’illusione dell’immortalità ricordando la nostra fragilità emotiva, aspetto questo meglio vissuto nei secoli precedenti, abituati ad una visione più mortuaria ed animale di sopravvivenza dei figli a fronte di molteplici malattie.
The broken circle breakdown, il guasto del cerchio rotto: questa la letterale traduzione del titolo, che sottolinea ancora una volta due aspetti connessi della storia, tale da consentire un azzardo interpretativo che vi consegnamo in questa sede. Il film propone in modo allegorico la storia dell’Europa dalla caduta del Muro di Berlino ad oggi. Questa storia coincide con la sua involuzione economica. La coppia Elise/Didier rappresenta il benessere economico e politico raggiunto, che consente di ritirarsi dalla realtà senza dover affrontare i problemi della vita. E ritengono che anche le future generazioni, allegoricamente rappresentate in Maybelle, avranno la stessa sorte di felicità. Ma i problemi ritornano con la crisi economica, rappresentata dalla malattia di Maybelle, che distrugge il nostro presente e le future generazioni così come ha distrutto quella della coppia. Distribuito da Satine Film, ha vinto l’anno scorso il Premio César per il miglior film straniero: a tratti si avvolge troppo nella tecnica del flash-back, provocando alcune contorsioni narrative. Non per questo rimane un grande film, anche se si rinnova l’annosa polemica per la quale è facile creare un grande film da storie drammatiche piuttosto che dalle commedie.