Roma. Il documentario di Andrea Rusich su Luigi Petroselli ha suscitato tanti applausi e commozione al Teatro Studio dell’Auditorium. Il 1° Marzo erano presenti i parenti del compianto Sindaco, Luigina Di Liegro, ex compagni di partito e tanta gente comune accorsa per rivedere un personaggio che è rimasto nell’immaginario collettivo.
Dalle periferie, rese finalmente parte integrante della città, al recupero del centro storico e dei Fori imperiali, passando per il rilancio dei servizi sociali: in estrema sintesi questo realizzò in soli due anni di permanenza in Campidoglio, permanenza stroncata improvvisamente da un malore improvviso dopo un comizio. Il filmato ripercorre la sua infanzia, intervista gli amici, i compagni, i colleghi, la gente comune, inserendo pubblicità dell’epoca e scorsi di una Roma ormai simile all’attuale. Pur nell’intento riuscito di non dimenticare un tale personaggio, rimangono gli aspetti di fondo di una realtà che non ha visto il futuro.
Rispetto ad un passato inerte, Petroselli costruì tantissimo per i poveri e i più bisognosi. Con spirito cristiano, che in questi casi è identico a quello comunista, andò incontro alle necessità storiche della popolazione, come secondo dopoguerra e come mala gestione dei piani urbanistici. Come detto, stette in carica solo due anni. Troppo poco per realizzare tutto quello che aveva in mente. Ma se si guarda con occhio attento il documentario, il problema non è stato il suo poco tempo. Erano le persone appartenenti al Partito Comunista le quali possedevano la sindrome da venerazione. Assolutamente, accanto a personalità straordinarie non si può rimanere indifferenti. Però la venerazione continua che traspare dai loro stessi racconti è quel male italiano che si è mostrato negli anni avvenire nella scelta di personalità affascinanti ma poco propense al bene comune.