Martin Scorsese rappresenta un simbolo del Novecento. L’ingigantirsi della forma, l’aumento a dismisura delle tematiche sviluppate -nel cinema, nella musica, nell’arte- sono il tipico esempio di cultura novecentesca. Il regista italo-americano non è esente da questo e, con il suo ultimo film in uscita nelle sale italiane il 23 gennaio, ne dà un’ulteriore esempio.
Tre ore per dipanare la storia autobiografica di Jordan Belfort, agente di borsa arricchitosi durante gli anni ’80 tanto rapidamente quanto rapido nel perdere l’intera fortuna. Ha scritto un libro, dal quale è stata adattata la sceneggiatura. Interprete del broker Leonardo Di Caprio, legnoso con qualche buono spunto nelle parti meccaniche, come il simulare lo stordimento da una droga molto pesante. La sintesi del film è: vale la pena arricchirsi in questo modo per vedere la propria vita privata distrutta, tutti i valori della famiglia disillusi, i figli traumatizzati? Tre ore per disporre di tale conclusione sono sembrati eccessivi, anche se i comprimari di Di Caprio come Rob Reiner (padre di Belfort), Cristin Milioti (prima moglie di Belfort), Kyle Chandler (agente FBI), Margot Robbie (seconda moglie di Belfort) forniscono un supporto notevole alla recitazione di Di Caprio, mostrando duttilità ed immedesimazione.
E’ una lunga discesa negli inferi da parte del protagonista, entrato da persona normale nel mondo della finanza e assolutamente avviluppato nelle sue spire malefiche di perdizione, droga, sesso, alcool, soldi a palate truffando le persone, bolle speculative senza pensare alle ricadute sociali. Il film intero ruota intorno a queste tematiche.
Il ritmo è interessante, grazie ad un buon montaggio. Però Wall Street di Oliver Stone racconta i medesimi fatti con più incisività, tanto da preferirlo.