Parigi, maggio ’68: alla fine di un periodo di prosperità economica nonostante la seconda guerra mondiale, la Francia si ritrova in un momento di crisi, dovuto ad un improvviso allargamento della richiesta di istruzione da parte di strati più ampi della popolazione, di un aumento della cassa integrazione, di una insofferenza della situazione politica dominata dal gollismo e dalle ripercussioni coloniali della perdita dell’Algeria e prima ancora della batosta sanguinosa della guerra di Indocina.
Come sappiamo, la filosofia e i giovani si unirono per combattere un sistema conservatore e maschilista rivendicando i diritti che oggi noi siamo abituati a vivere: la libertà sessuale, l’autodeterminazione del pensiero e del lavoro, il libero accesso all’istruzione. Tutto omogeneo per descrivere un solo bisogno: vivere in pace coi diritti ritenuti inalienabili e connaturati alla persona umana.
Nel 2011 la Francia si ripropone su questo versante per quanto riguarda gli immigrati. Da quasi vent’anni si premonizzava l’invasione europea degli immigrati africani ed asiatici, non fosse altro che la loro situazione economica e di vita è drammatica rispetto alla nostra. Cosa comporta tutto questo? Nella vita quotidiana, può voler dire che il tuo compagno di classe delle elementari, immigrato clandestino, venga rimpiatriato improvvisamente perché violante la legge sul soggiorno.
Les Mains en l’air di Romain Goupil è un film che verte su questo punto: è giusto per la legge il rimpiatro forzoso ma è giusto per la società civile e per le relazioni umane questo distacco violento? Sicuri che il futuro della società sia questo? Non hanno anche loro, gli immigrati clandestini, il diritto di vivere felici in un paese ospitante?
La risposta a queste domande proviene dal confronto 2 contro 1 tra la madre Cendrine (Valeria Bruni Tedeschi) unita a suo figlio Blaise (Jules Ritmanic) e il marito Luc (Romain Goupil). La coppia è favorevole al diritto di soggiorno agli immigrati, il secondo contrario (come anche il fratello di Cendrine, interpretato da Hippolyte Girardot) perché portano delinquenza, disordine sociale e perché il fatto di vivere non ti porta il diritto di soggiornare in qualunque stato del mondo. In entrambi i casi, le due visioni appaiono ottuse e votate all’oltranzismo, inconciliabili perché si vuole il diritto in assoluto e il respingimento in assoluto, essere francesi prima ancora di essere nati.
A dividere ancor di più il confronto è il gruppo dei compagni di scuola che frequenta Blaise, al 50% immigrati anche loro. Alla notizia che una loro compagna Milana (Linda Doudaeva) sarà probabilmente espulsa insieme alla famiglia, organizzano una fuga che li porterà per alcuni giorni ad essere ricercati dalla polizia francese, ritratta non bene dal regista, a catalizzare la stampa e a creare il caso: si lotta insieme per i diritti di tutti, anche se non sono immigrato. Il diritto è per tutti. Magnifica la scena finale dei ragazzi con le mani in alto, che si arrendono solo simbolicamente alla burocrazia per aver lottato insieme.
Stupenda la recitazione di Valeria Bruni Tedeschi, a conferma che bisogna sempre scindere il nome e le chiacchiere da gossip dal lavoro e la professionalità espresse da una persona. L’attrice italiana, ma trapiantata a Parigi da tantissimi anni, ha espresso al meglio il dilemma di madre e donna che cerca di capire e trovare una soluzione che pacifichi tutti. Assolutamente naturale e con un fascino che innamora lo spettatore del personaggio e della Valeria reale, con quei seni nudi in riva al fiume coi bambini che in Italia farebbe gridare allo scandalo mentre è un’immagine tanto materna quanto bellissima, lotta come una parigina del maggio ’68 portando a rivivere il vietato vietare tanto famoso e tanto reclamizzato dalle folle in sciopero. Lei crede utopicamente ai diritti in quanto tali, figlia proprio dell’Illuminismo francese, portando all’eccesso questa sua volontà.