Amir è figlio di un ricco imprenditore di Kabul. La sua spensieratezza è presente anche in Hassan, figlio del servo di casa Ali, che Amir considera come un fratello. I due crescono insieme, trascorrono intere giornate su un albero dove Amir legge racconti al suo amico fraterno ed insieme attendono ogni anno, il giorno in cui si svolge la caccia agli aquiloni. Ed è proprio in quel giorno, segnato da colori e libertà, che invece nasce un senso di colpa che segnerà la vita di Amir.

Al passare degli anni l’Afganistan diventa terra di guerra, prima con i Russi e poi con i talebani. Amir, rifugiatosi fuori da Kabul, a diciotto anni si trasferisce con il padre a San Francisco in California, dove crescerà nella comunità afgana. Non ha piu’ notizie di Hassan dal momento in cui quest’ultimo e il padre hanno deciso di abbandonare la casa dove hanno prestato servizio per tutta la vita. Ma e’ colpa di Amir se i due si sono allontanati dal padre. Ha compiuto un gesto ignobile solo per riuscire a fare breccia nel cuore del padre. La vita va comunque avanti nonostante i sensi di colpa. Amir si innamora di una donna che poi diventerà sua moglie. Tutto procede con tranquillità. Amir diventa uno scrittore affermato ed apprezzato di romanzi, sposato, ma sempre con lo stesso senso di colpa, quello di aver commesso un peccato imperdonabile. Nel 2001, Amir riceve una telefonata da parte di un caro amico del padre e persona molto apprezzata da Amir, in cui gli comunica che, dato il suo stato di salute precario che non gli consentirà di vivere a lungo, sente il desiderio di riconsegnare la casa che il padre di Amir gli aveva lasciato in usufrutto. Indeciso se partire o no a causa degli avvenimenti avversi nel suo paese natale, alla fine decide di intraprendere questo viaggio che rappresenterà un percorso nel passato, fatto di ricordi, emozioni, presa di coscienza di cambiamenti radicali.
Da subito Amir apprende, con gran dolore, della morte di Hassan, fucilato in mezzo ad una strada. Del suo amico gli resta solo una poloroid che ritrae Hassan accanto a sua moglie e suo figlio. Ed è proprio il figlio di Hassan, ormai orfano, prigioniero dei talebani. In quel momento Amir si rende conto che dalla vita e dalla salvezza di quel bambino sconosciuto, dipendono anche la sua salvezza e la sua vita, perchè solo salvandolo potrebbe cancellare il peccato commesso verso quell’amico-fraterno che ormai non c’è piu’. Le pagine scritte da Khaled Hosseini rappresentano uno dei fenomeni editoriali maggiori degli ultimi anni prima di prendere vita in un ottimo film diretto da Marc Forster che si conferma un regista di grandissima sensibilità. Inevitabili molti tagli della sceneggiatura, Forster cerca comunque di rimanere il piu’ possibile fedele al romanzo, riuscendo abilmente a far vivere delle forti emozioni allo spettatore. Il film ripercorre gli eventi storici di un trentennio seguendo un ritmo piacevole: la caduta della monarchi, l’invasione dei Russi, il regime dei talebani visto attraverso gli occhi dei protagonisti, interpretati da ottimi attori che rendono il film scorrevole.

Il film affascina, attrae, emoziona. In particolare la gara degli aquiloni, che aggrega tutti gli abitanti della città, esprime poesia, vita, libertà di un popolo che non ne ha avuta. Probabilmente per rendere maggiormente l’effetto del racconto di una storia, proprio come il protagonista fa nel romanzo parlando in prima persona, manca nel film la “sua” voce narrante. Il successo di questo film è proprio nel raccontare con delicatezza temi ed avvenimenti difficili, tragici, come quelli di una Kabul devastata, senza eccessi cinematografici.