Abbiamo raccolto un breve commento all’artista, inquadrando le sue idee.
Roberto Bosco, in questi grandi quadri ho notato che manca lo spazio, ho sbagliato l’impressione o è una scelta formale?
E’ una scelta formale. Perché lo spazio è molto relativo, è un fatto interiore, pertanto non è reale.
Ho anche notato una mancanza di prospettiva: come se non fosse l’aspetto più importante. Sembra piuttosto uno stato d’animo.
E’ proprio così, non è una prospettiva in senso stretto, sono spazi interiori: è l’anima.
Per quanto riguarda i colori, come giustifica le sue scelte?
Non esiste una correlazione stretta tra colore e scelta razionale, uso quello che sento in quel momento, mentre sto dipingendo. Non esiste una scelta a priori.
Ho visto che sono rappresentati aspetti umanitari.
E’ un suggerimento provenienti dai fatti di cronaca, drammatici fatti.
Per lei ancora conserva un messaggio politico l’arte?
Assolutamente, l’arte è anche politica.
Per le grandi folle, sembra quasi un ricordare alcuni pittori statunitensi degli anni ’40 e ’50: lei riscontra una stessa dinamica in Italia, o in generale le grandi metropoli sono fatte così?
Diciamo che ormai le grandi metropoli esistono in tutto il mondo e sono configurate in modo uguale: la omologazione ha portato a questo, sono stato molto tempo negli USA ma in Cina è la stessa cosa. C’è questa globalizzazione che ha appiattito le differenze, le città prima erano differenziate, ora non lo sono più. Anche la gente lo è diventata.
E’ stata un’evoluzione: per lei è negativa?
Negativissima.