Roma. All’inaugurazione della mostra di Silvia Dayan al RistoArte di via Margutta abbiamo incontrato la critica d’arte nonché curatrice della mostra Francesca Barbi Marinetti. Nella descrizione dell’esposizione parla di autenticità del messaggio dei quadri esposti, anche corporale espressa dalle figure femminili. Tale vocabolo, autenticità, era ben presente nelle analisi linguistiche di Pier Paolo Pasolini, che riscontrava ancora un suo riferimento all’interno del dialetto e del corpo, ancora non compromessi dal linguaggio tecnologico, livellante verso il basso. Questo il punto di partenza per un’analisi formale ed estetica con la curatrice.
Cogliamo l’occasione di Silvia Dayan per parlare dell’autenticità del quadro e della corporeità del soggetto dipinto. E’ ancora vero che esiste un’autenticità del nostro linguaggio corporale, oppure il marketing, le campagne pubblicitarie l’hanno cancellata?
Questa è una domanda molto interessante, al dire il vero io penso che il linguaggio corporeo è tutto da scoprire, io credo che ci sia una vera intossicazione da parte dei media di un uso tutto puntato sull’immagine, il linguaggio corporeo, e quando parlo di esso ne intendo uno raffinato, infatti parlo della sua intelligenza, oltretutto penso che ci voglia una sensibilità artistica. Proprio per questo ho puntato molto su Dayan perché ritengo che lei abbia fatto questo tipo di ricerca, e tutt’ora prosegue sulla via della ricerca.
Benché parlasse di linguaggio, Pasolini disse che il dialetto rappresentava l’ultima fonte di autenticità. Noi nella pittura moderna dove possiamo incontrarla, al di là di Silvia Dayan.
Io credo che l’autenticità esista sempre, non possiamo pensare di rinunciare ad essa. Però come tante cose che ci riguardano, vive e si modifica e pertanto bisogna scoprire quello che la contemporaneità ci serba come punto di centralità del nostro essere che non uguale a quello di ieri. Pasolini cercava molto l’autenticità e si accostava ad essa in modo provocatorio, per il bisogno di ridare valore a cose che venivano sommerse anche attraverso un linguaggio aggressivo, politico, che tendevano ad appiattire la poesia e il dialetto: quanto di più autentico in una cultura.