Non conosco la storia di Danièle Delpeuch, cuoca del Presidente francese Mitterand dal 1988 al 1990: ma se fosse uguale a quanto rappresentato dal regista Christian Vincent nel film
La cuoca del Presidente, bisognerebbe concludere che è stata una storia isterica da non sceneggiare per un film.
Leggendo l’intervista allo sceneggiatore Etienne Comar si nota una persona differente, una profondità e complessità di situazioni che non vivono sul grande schermo.
Gli aspetti che emergono dalla visione sono un Presidente francese stanco, anziano e dedito ad un provincialismo che poco ricorda lo storico Mitterand, con una cuoca altrettanto legata alla
provincia e dedita alla cucina oltre misura, senza una vita personale, sociale, tutto ruota intorno a ciò che il Presidente deve mangiare. Un’abnegazione che, seppur probabile, non può aver
annullato definitivamente una personalità poliedrica come la Delpeuch.
Troppo poco per delineare un contesto sicuramente più complesso, insufficiente la lotta di potere tra una cucina centrale e quella privata del Presidente, anche perché il solo prestigio non
basta a giustificare i contrasti. Curiosa la nostalgia per una Parigi da Luigi XIV, quasi una Francia dominatrice dell’Europa: è stata dimenticata la storia tragica associata a questa idea?
La protagonista, Catherine Frot, risulta inadeguata a rendere l’inadeguatezza del personaggio. Sfumati eccessivamente i contorni della ricerca di sé, forse più importanti delle fette d’anatra
al forno.
Forse l’attore migliore è il cameraman della giornalista australiana, eccellente nel rappresentare una classe di lavoratori simpatici, sornioni, a volte un po’ disorganizzati.